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Liliana Resinovich, le parole shock: “È stato lui, la procura ha tutto”. Ora cosa succede

Pubblicato: 11/12/2025 13:27

Sergio Resinovich torna davanti al tribunale di Trieste stringendo tra le mani la foto della sorella Liliana, partecipando a un sit-in che riunisce familiari, amici e cittadini convinti che sulla morte della donna restino ancora troppe ombre. Il suo intervento è diretto, carico di amarezza e determinazione. «Io penso, come ho già detto, che sia stato il marito. La Procura ha i documenti, negli atti c’è scritto tutto», afferma senza esitazioni. Parole che risuonano nella piazza come l’ennesimo appello a non lasciare che il caso scivoli nell’oblio.

Sergio ricorda che l’uomo, il marito di Liliana, «è stato indagato per un omicidio con l’aggravante della parentela. Lasciamo che lavorino», sottolinea con la speranza che gli inquirenti possano finalmente imprimere una svolta all’inchiesta. Una necessità che per lui è ormai vitale: «Sono quattro anni che io non vivo, questa non è vita. Mia sorella è morta, è stata uccisa ed è provato».

La sua voce, carica di dolore, si unisce a quella dei presenti, che chiedono che la verità non venga soffocata da mezze ricostruzioni, piste inconsistenti o dichiarazioni ritenute fuorvianti.

Le accuse ai testimoni e i dubbi sulle versioni circolate

Nel corso del sit-in, Sergio Resinovich non risparmia critiche a chi nel tempo ha contribuito a creare, a suo avviso, confusione. Tra questi cita il pizzaiolo che ha dichiarato di aver fornito a Liliana alcuni sacchi neri, un elemento che negli anni è entrato più volte nel dibattito pubblico sul caso. Sergio contesta apertamente quelle testimonianze: «Sono figuranti che dicono stupidaggini, mi chiedo a che pro».

Un giudizio durissimo, motivato dal fatto che — racconta — molti di questi soggetti non avrebbero mai avuto reali rapporti né con lui né con la sorella. «Non li ho mai visti, non mi hanno mai conosciuto. Dubito anche che conoscessero mia sorella. Perché si dà ascolto a queste persone?», domanda con evidente frustrazione.

Secondo lui, dichiarazioni del genere non hanno fatto altro che complicare il lavoro investigativo, spostando l’attenzione su piste considerate inconsistenti e allontanando il dibattito pubblico dai fatti concreti presenti negli atti.

L’appello finale: “Serve un’accelerazione”

Il fratello di Liliana torna infine sul punto che più lo tormenta: il tempo che passa e la sensazione di immobilismo. Il suo appello alla Procura è un invito pressante ad accelerare gli accertamenti e a dare risposte. La speranza è che il dolore di questi anni trovi finalmente un motivo di pace attraverso una verità giudiziaria chiara e definitiva.

Il sit-in si chiude in silenzio, con le immagini di Liliana alzate verso il cielo, mentre Sergio continua a chiedere ciò che per lui è l’unica strada possibile: giustizia.

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