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Rosy Bindi al Vertice del Comitato per il No, la nuova vita della «pasionaria» della sinistra

Pubblicato: 11/12/2025 21:58

«Ma non si starà parlando troppo di me? Io farò la mia piccola particina». Rosy Bindi prova a sminuire il suo nuovo ruolo alla guida del Comitato per il No al referendum sulla separazione delle carriere, ma la modestia regge fino a un certo punto. Perché, accanto a figure di primo piano come Giovanni Bachelet, l’Anpi, le Acli, la Cgil, il Nobel Giorgio Parisi e Benedetta Tobagi, il suo nome catalizza più attenzione di quanto lei voglia ammettere.

Il telefono ha ricominciato a squillare senza sosta, giorno e notte, e quel suo carattere spesso definito “forte” — anche se quasi sempre bonario — riemerge insieme alla vecchia grinta. Con buona pace delle schermaglie dialettiche, il ritorno sulla scena dell’ex ministra ridisegna una parte del campo largo e rimette in circolo una voce che aveva lasciato il proscenio ai tempi del renzismo, quando molte figure storiche del centrosinistra si erano defilate.

La nuova “seconda vita” della pasionaria nata nella Dc e approdata a rappresentare l’anima più intransigente della sinistra non la entusiasma particolarmente, almeno nelle etichette. Ogni volta che qualcuno la chiama «compagna», lei reagisce con un mezzo sorriso e una puntualizzazione ferma: «Io sono stata sempre di sinistra, sempre, anche nella Dc. Ma comunista mai». E affonda: «L’egemonia comunista ha spesso messo un tappo alla pluralità che la sinistra poteva esprimere».

Democristiana atipica, erede ideale di figure come Dossetti, La Pira, Tina Anselmi, Aldo Moro e Mattarella, Bindi ha sempre suscitato simpatia nella sinistra più radicale proprio perché, paradossalmente, ne rappresentava alcune anime meglio di chi ne portava ufficialmente la bandiera. Celebre la provocazione a Massimo D’Alema: «È stato più di sinistra La Pira o Togliatti?» La risposta fu fulminea: «Non lo so, ma certe volte tu sei sembrata più di sinistra di me».

Nei prossimi mesi, con l’aumento delle sue presenze nei talk show, inevitabilmente qualcuno le chiederà dove fosse finita. La battuta è già pronta, rubata a Robert De Niro in C’era una volta in America: «Non sono andata a letto presto, perché vado a letto tardissimo». E poi la verità semplice: «Non ho mai smesso di fare politica, di presentare libri, di partecipare a incontri. Ho iniziato una nuova carriera da conferenziera a titolo gratuito».

La frase, volente o nolente, si presta a qualche lettura maliziosa. Non è chiaro se il riferimento al “titolo gratuito” sia un colpo di fioretto verso Matteo Renzi e le sue conferenze ben retribuite. Di certo, tra una comparsata e l’altra, ci sarà occasione per chiederglielo.

Intanto, la narrazione della sua “seconda stagione” politica procede spedita. La Rosy Bindi barricadera, la «radicale», la combattente in tailleur che non ha mai temuto lo scontro dialettico, torna a occupare la scena con naturalezza, quasi fosse rimasta dietro le quinte solo per prendere fiato.

E tuttavia lei stessa frena: «Su “radicale” avrei qualcosa da dire. Radicale nelle idee, sì. Ma nell’azione resto sempre riformista». Una distinzione netta, che dice molto del suo modo di stare nella politica e, probabilmente, del ruolo che giocherà nella battaglia referendaria.

Che sia pasionaria o riformista, una cosa è certa: il ritorno di Rosy Bindi, a titolo gratuito e senza falsa modestia, promette di essere uno dei simboli più riconoscibili del fronte del No. E, piaccia o meno, il suo nome è destinato a risuonare ancora a lungo.

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