
L’ultimo capitolo della guerra civile in Sudan ha riacceso i riflettori internazionali su un conflitto che, in realtà, divampa da anni. Organizzazioni umanitarie e attivisti denunciano da tempo segnali di pulizia etnica e una catastrofe umanitaria in atto. La recente conquista della città di el-Fasher, nel Darfur settentrionale, ha aggravato ulteriormente la situazione, portando alla luce immagini satellitari che mostrano possibili prove di omicidi di massa e crimini contro l’umanità.
Dittature, guerre e genocidi: le radici della crisi
Il Sudan ottenne l’indipendenza dal dominio britannico ed egiziano nel 1956, ma la sua storia recente è segnata da colpi di Stato militari e regimi autoritari. Il più longevo fu quello del generale Omar al-Bashir, salito al potere nel 1989 e rimasto al comando per tre decenni.
Nel 2003, il governo di al-Bashir avviò una brutale campagna militare contro i ribelli del Darfur, appoggiandosi alla milizia araba nomade dei Janjaweed. Queste forze furono accusate di aver ucciso circa 300.000 persone e sfollato oltre due milioni di civili appartenenti ai gruppi etnici Fur, Masalit e Zaghawa. La Corte internazionale di giustizia (ICJ) accusò successivamente al-Bashir di crimini contro l’umanità e genocidio, rendendolo il primo capo di Stato in carica a essere incriminato per tali reati.
Nel 2013, i Janjaweed si riorganizzarono in una nuova formazione paramilitare: le Rapid Support Forces (RSF), destinate a giocare un ruolo centrale nella guerra civile attuale.
Il crollo del regime e il nuovo colpo di Stato
Nel 2019, le proteste di massa contro la dittatura portarono alla caduta di al-Bashir, deposto da un’alleanza fra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le stesse RSF, guidate rispettivamente dai generali Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan “Hemedti” Dagalo.
Venne così creato un governo di transizione con la promessa di portare il Paese verso la democrazia, ma nel 2021 l’esercito spezzò l’accordo, riprendendo il potere e ponendo agli arresti domiciliari il primo ministro civile. L’intesa per integrare le RSF nell’esercito non fu mai realizzata, e la rivalità fra Burhan e Hemedti esplose in aperto conflitto.
La guerra civile del 2023 e il ruolo degli attori esterni
Il 15 aprile 2023 scoppiarono violenti scontri nella capitale Khartoum tra le SAF e le RSF. Nel giro di pochi giorni, i paramilitari presero il controllo della città, costringendo l’esercito a spostare il suo quartier generale a Port Sudan. Secondo diverse fonti, gli Emirati Arabi Uniti avrebbero fornito supporto militare e finanziario alle RSF, accusa che Abu Dhabi ha sempre negato.
Un ricorso del governo sudanese presso la Corte internazionale di giustizia, che accusava gli Emirati di complicità nel genocidio contro il gruppo Masalit, è stato archiviato nel maggio 2025 per mancanza di giurisdizione.
Vittime e sfollati: una crisi umanitaria di proporzioni immense
Le stime sul numero delle vittime variano, ma alcune fonti parlano di oltre 150.000 morti tra combattimenti, carestie e malattie. Le Nazioni Unite segnalano che 21 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare acuta, mentre 12 milioni di sudanesi sono stati costretti a fuggire dalle proprie case. Oltre un milione di rifugiati ha attraversato i confini verso Etiopia, Egitto e Ciad.
Tra le tante storie individuali, quella di Abdullah Ali, sudanese residente in Australia, riflette la tragedia collettiva: sua madre è morta in esilio al Cairo, sognando fino all’ultimo di poter tornare nella propria casa.
El-Fasher: la caduta che segna una svolta
Il 26 ottobre 2025, le RSF hanno preso il controllo di el-Fasher, ultima roccaforte dell’esercito nel Darfur settentrionale, dopo un assedio durato 18 mesi. Prima della guerra, la città contava circa 900.000 abitanti; oggi gran parte della popolazione è sfollata o dispersa.
Secondo la Sudan Doctors Network, durante l’assedio 14.000 persone sono morte per bombardamenti, fame o esecuzioni sommarie. Le immagini satellitari analizzate dal Laboratorio di Ricerca Umanitaria di Yale mostrano fosse comuni e aree insanguinate, mentre video diffusi online testimoniano uccisioni di massa di civili non arabi. L’OMS ha confermato il massacro di 460 persone all’interno dell’ospedale saudita di maternità.
Un rischio genocidio nel cuore dell’Africa
Secondo Bakry Elmedni, professore alla Long Island University, quanto accaduto a el-Fasher costituisce “un vero e proprio crimine contro l’umanità” e potrebbe essere “sulla via del genocidio” ha detto al quotidiano australiano ABC.net. Con la caduta della città, le RSF controllano ora l’intera regione del Darfur, e gli esperti temono che la guerra possa portare a una divisione del Sudan in due stati di fatto, con amministrazioni separate e nessuna autorità centrale riconosciuta.
Spiragli di tregua, ma la pace è lontana
Il 7 novembre, le RSF hanno annunciato di aver accettato una tregua umanitaria mediata da Stati Uniti, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, promettendo un cessate il fuoco per permettere gli aiuti alla popolazione.
Le Forze armate sudanesi non hanno ancora risposto ufficialmente.
Secondo Elmedni, questa potrebbe essere l’ultima occasione per salvare il Sudan da un disastro irreversibile:
“Se non si raggiunge la pace adesso, potremmo presto contare milioni di morti, senza nemmeno sapere quanti siano davvero, perché il mondo avrà distolto lo sguardo.”
La crisi del Sudan, iniziata come una lotta di potere tra generali, è diventata una tragedia umana e geopolitica di proporzioni colossali. E mentre il Darfur torna a essere teatro di orrori già visti vent’anni fa, il silenzio internazionale rischia di trasformarsi nel peggior complice di questa nuova catastrofe


