
La foto sul bus, lo slogan della politica sobria, la guerra ai privilegi. Tutto archiviato. Per un anno e mezzo Roberto Fico, ex presidente della Camera e oggi candidato della sinistra in Campania, ha beneficiato di una scorta irregolare che ha generato circa 100mila euro di costi extra per le casse pubbliche. Lo rivela Libero quotidiano, che ha ricostruito nei dettagli un dispositivo di protezione rimasto fuori protocollo per 18 mesi, nonostante le regole ufficiali del Viminale lo vietassero. Una storia che scardina la narrazione grillina della sobrietà: non un errore burocratico, ma una scelta consapevole, confermata dal fatto che il cambio di assetto è arrivato solo a novembre 2025, dopo un anno e mezzo di deroghe e silenzi.
Scorta “ibrida” e costi extra

Secondo quanto ricostruito da Libero, la scorta di Fico era composta da agenti appartenenti sia alla Questura di Napoli sia all’Ispettorato della Camera: un modello operativo che non esiste nei protocolli dell’Ucis, l’organo interforze che stabilisce le regole di tutela per le personalità a rischio. Il principio è elementare: se ti trasferisci in un’altra città, il personale di scorta deve appartenere a quella città. Questo serve a evitare spese superflue, straordinari, vitto, alloggio, doppi turni e duplicazioni. Nel caso di Fico, invece, lo Stato ha continuato a pagare la presenza degli agenti romani anche quando il politico viveva stabilmente a Napoli. Un’anomalia che ha bruciato circa 6mila euro al mese di soldi pubblici. Totale: 100mila euro in un anno e mezzo, solo per mantenere un “pezzo” di scorta di Montecitorio che, per legge, non avrebbe dovuto più esserci.
La svolta tardiva e il paradosso politico
Solo a novembre 2025, racconta ancora il quotidiano, la scorta è stata finalmente adeguata alla normativa: oggi tutti gli agenti appartengono alla Questura di Napoli. Dunque, se si è potuto correggere ora, perché non lo si è fatto prima? La risposta che emerge è scomoda: per volontà diretta dell’interessato, che avrebbe chiesto di non rinunciare al suo storico nucleo romano. Una decisione tollerata per diciotto mesi, nonostante le circolari del Dipartimento di Pubblica Sicurezza dicano l’esatto contrario. La vicenda tocca la biografia pubblica di Fico, il grillino che rinunciava all’auto blu, che parlava di onestà come dogma, che usava l’autobus come manifesto politico. Oggi, però, il patrimonio simbolico cede sotto un dato semplice: chi predicava il risparmio ha accettato – o richiesto – un costo aggiuntivo per lo Stato, senza alcuna necessità funzionale. Se persino Fico cade nel riflesso del privilegio, chi resta a difendere la retorica dell’“uno vale uno”?

