
Il boato è arrivato nel cuore della notte, coperto solo dal rombo del vento. Quando l’acqua ha iniziato a invadere il letto del fiume, trascinando terra, tronchi e lamiere, la vecchia struttura in acciaio della linea ferroviaria non ha retto. All’alba, al posto del viadotto che collegava i villaggi di Maipon e San Rafael, nella provincia filippina di Albay, è rimasta una campata inclinata, sospesa nel vuoto come un ramo spezzato. Il super tifone Fung-wong, con raffiche oltre i 200 all’ora e piogge torrenziali, ha trasformato quel ponte in un relitto di ferro contorto.
I residenti, abituati ogni anno al passaggio di cicloni tropicali, raccontano che l’acqua non aveva mai raggiunto quella violenza. Il fiume si è gonfiato in poche ore, ha superato gli argini, ha eroso le basi di sostegno, sollevato la struttura e spinto lateralmente i binari della Philippine National Railways, piegandoli come fili metallici. Il ponte non è crollato completamente, ma il cedimento parziale basta a interrompere la linea e a isolare una parte del territorio già provato dagli allagamenti.
Per le autorità locali il danno è strategico: non riguarda solo il trasporto ferroviario, ma la possibilità stessa di far arrivare aiuti nelle aree interne del Bicol, dove interi barangay sono ancora sommersi. I tecnici hanno transennato l’area e stanno valutando se sarà possibile recuperare la struttura o se servirà una ricostruzione totale. Il rischio maggiore non è il cedimento definitivo, ma l’eventuale riattivazione del traffico lungo linee secondarie usate per i convogli umanitari.
Il ponte spezzato è diventato immediatamente l’immagine-simbolo del passaggio del super tifone: un’infrastruttura piegata ma ancora in piedi, come il Paese che cerca di rialzarsi dopo l’ennesima devastazione. E mentre la piena si ritira, restano due domande: quanto costerà ricostruire e quanto tempo ci vorrà per farlo, sapendo che un altro tifone, prima o poi, arriverà.


