
Un silenzio agghiacciante è calato sulla polvere rossa del Sahel. Una giovane donna, con i suoi diciannove anni appena compiuti, è stata strappata alla sua quotidianità, ai suoi sogni e ai suoi novantamila seguaci che ogni giorno ne spiavano la vita attraverso un piccolo schermo. Era la voce spensierata della sua comunità, colei che con la sua telecamera raccontava la semplice e difficile esistenza in una regione tormentata.
Giovedì è arrivata l’ombra: rapita da miliziani armati che l’accusavano di tradimento, di aver dato supporto a chi combatteva il loro giogo di terrore. Venerdì mattina, la breve parabola della sua esistenza si è conclusa in modo brutale e irrevocabile. Trascinata davanti agli occhi terrorizzati dei suoi vicini, è stata fucilata in una piazza pubblica, un atto di barbarie compiuto per intimidire e spezzare il morale di un intero popolo. La sua morte ha lasciato un vuoto non solo nella sua famiglia, ma in migliaia di cuori che ora piangono la perdita di un simbolo di resistenza e di libertà d’espressione in un paese dilaniato dalla guerra.
Il rapimento e l’esecuzione sommaria
Il Mali è stato scosso da un episodio di efferatezza inaudita che getta una luce drammatica sulla brutale realtà del conflitto che attanaglia la regione settentrionale del Paese. Mariam Cissé, una giovane e popolare tiktoker maliana di soli diciannove anni, è stata rapita e barbaramente assassinata in pubblico da miliziani jihadisti. L’accusa mossa contro la ragazza, che era seguita da oltre novantamila persone sui social media per i suoi video sulla vita quotidiana nell’area di Timbuctu, era quella di collaborare e fornire informazioni all’esercito nazionale.
Mariam Cissé era stata sequestrata dai miliziani il giovedì in circostanze che sono state definite da fonti locali, familiari e della sicurezza. Il giorno successivo, l’atroce destino della giovane si è compiuto nella città di Tonka, situata nel turbolento nord del Mali. Secondo la straziante testimonianza del fratello, Mariam è stata trascinata dai suoi aguzzini in una piazza pubblica e, con un atto di deliberata crudeltà, fucilata a freddo davanti agli occhi degli abitanti della città. Questa esecuzione sommaria, avvenuta in pieno giorno e in un luogo aperto, rappresenta un chiaro messaggio di terrore e intimidazione da parte dei gruppi jihadisti rivolto non solo alla popolazione locale, ma all’intero Paese. L’uccisione ha sollevato un’ondata di profondo sdegno in tutta la nazione, evidenziando il livello di violenza e l’impunità con cui operano questi gruppi.
Il contesto di un paese dilaniato dal conflitto
L’omicidio di Mariam Cissé si inserisce nel contesto di un Mali governato da una giunta militare e da anni martoriato da una guerra intestina contro i gruppi estremisti. Il Paese africano è da tempo al centro dell’attenzione internazionale per la escalation di violenza e la destabilizzazione causata dai gruppi jihadisti, molti dei quali affiliati a reti globali come Al-Qaeda e lo Stato Islamico. Questi gruppi non solo conducono attacchi militari, ma cercano anche di imporre un rigido controllo sul territorio e sulla vita civile, spesso attraverso atti di violenza esemplari come quello subito dalla giovane tiktoker. La sua attività sui social media, che documentava aspetti della vita quotidiana e, per l’accusa dei miliziani, sembrava in qualche modo sfidare il loro dominio o mostrare una realtà non conforme alla loro visione, è stata evidentemente percepita come una minaccia da estirpare con la massima brutalità.
L’assedio del Jnim e la crisi umanitaria
La situazione in Mali è ulteriormente peggiorata a causa delle azioni dei miliziani del gruppo Jnim (Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin). Nelle settimane precedenti l’omicidio, questo gruppo affiliato ad Al-Qaeda aveva imposto un devastante blocco ai rifornimenti di carburante destinati al Paese. Questa tattica, che rientra in una strategia più ampia di guerra economica, ha avuto conseguenze drammatiche. Il blocco non solo ha paralizzato settori vitali dell’economia maliana, ma ha anche aggravato in modo significativo la crisi economica e umanitaria che già affligge la popolazione. L’impossibilità di accedere a risorse fondamentali come il carburante compromette i trasporti, la distribuzione di aiuti e il funzionamento dei servizi essenziali, stringendo in una morsa sempre più stretta i cittadini maliani, i quali si trovano a dover affrontare la duplice minaccia della violenza jihadista e del collasso socio-economico. L’esecuzione pubblica di Mariam Cissé è, in questo scenario, un tragico simbolo dell’oppressione che incombe sulla libertà e sulla vita stessa dei giovani in una delle regioni più travagliate del Sahel.


