
In città si respira un’atmosfera di tensione e attesa. Le strade sono tranquille, eppure dietro le facciate silenziose si muovono vicende che mettono sotto pressione professionisti e cittadini. Negli uffici legali, negli studi di avvocati, tra carte e fascicoli, si percepisce un senso di inquietudine: notifiche, lettere e indagini si intrecciano creando un contesto di ansia latente. L’attesa per una convocazione può trasformarsi in un momento di grande stress, soprattutto quando il caso riguarda personaggi noti e vicende delicate che hanno tenuto l’opinione pubblica con il fiato sospeso.
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In questo contesto, i professionisti coinvolti nelle indagini vivono una doppia pressione: da un lato la necessità di rispondere alle procure, dall’altro la paura di possibili minacce che rendono ogni giorno più complesso lavorare serenamente. La cronaca giudiziaria, che spesso racconta i fatti in modo distaccato, qui si intreccia con la dimensione umana di chi si trova al centro di vicende delicate e delicate.
La vicenda di Massimo Lovati
A Brescia, l’attenzione è concentrata su Massimo Lovati, avvocato che questa settimana potrebbe essere sentito dalla procura nell’ambito di un fascicolo aperto con l’ipotesi di reato di corruzione in atti giudiziari. La sua posizione è strettamente legata a quella di Giuseppe Sempio, padre di Andrea Sempio, e dell’ex pm Mario Venditti. Secondo l’impianto accusatorio, Giuseppe Sempio avrebbe versato decine di migliaia di euro all’allora pm di Pavia per favorire l’archiviazione del figlio, indagato nel 2017 per l’omicidio di Chiara Poggi.
Durante le indagini, i pm di Brescia hanno individuato movimenti di denaro sospetti in casa Sempio, tra cui un appunto rinvenuto durante la perquisizione di maggio: “Venditti Gip archivia x 20. 30. euro”. Tra il 2016 e il 2017, Andrea Sempio e suo padre avrebbero prelevato 35 mila euro in contanti, successivamente dichiarati come pagamento agli avvocati per gli onorari relativi all’indagine e all’archiviazione. Per chiarire questi passaggi, i magistrati intendono sentire non solo Lovati, ma anche gli avvocati Federico Soldani e Simone Grassi, tutti ex membri del pool difensivo insieme ad Angela Taccia.

La lettera minatoria
A complicare la vicenda, lo scorso sabato notte, Lovati ha ricevuto una lettera minatoria lasciata sotto lo zerbino del suo studio. Si tratta di un foglio con caratteri ritagliati da giornali, recante la scritta in dialetto lombardo occidentale: “L’è mei che te stai ciu”, traducibile in italiano come: “È meglio che tu stia zitto”. Accanto alla frase, una croce sottolinea il tono intimidatorio del messaggio.
L’avvocato Gallo, suo difensore, ha dichiarato che Lovati non ha dato peso alla minaccia, nonostante la tempistica sospetta, pochi giorni prima della sua convocazione da parte della procura. Il legale ha precisato che la lettera potrebbe provenire da un mitomane o essere collegata ad altri processi, ma resta evidente come la tensione attorno all’indagine di Garlasco abbia creato un clima pesante in città.

Indagine e contesto
Il fascicolo aperto dai pm di Brescia ha riacceso i riflettori sul caso Sempio e sui rapporti tra familiari degli indagati e figure istituzionali. L’attenzione della procura si concentra sui pagamenti sospetti e sulla possibilità che questi abbiano inciso sulle decisioni giudiziarie. Nonostante i legali coinvolti non siano più difensori ufficiali di Andrea Sempio, la loro testimonianza è ritenuta fondamentale per fare chiarezza sui fatti del 2017.
L’episodio della lettera minatoria, per quanto possa apparire secondario, evidenzia come la cronaca giudiziaria non sia mai solo fatta di documenti e fascicoli: coinvolge persone, emozioni, pressioni e talvolta intimidazioni dirette. La vicenda resta sotto osservazione, mentre la procura di Brescia prosegue le audizioni per chiarire la dinamica dei flussi di denaro e la reale portata delle responsabilità degli indagati.


