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“Oltre 400 anni di carcere”. Maxi-processo in Italia, accuse pesantissime

Pubblicato: 11/11/2025 15:34

Il pm della Direzione Nazionale Antimafia Giovanni Musarò, applicato nel processo Propaggine, insieme al pm di Roma Stefano Luciani, ha chiesto condanne per un totale di 463 anni di reclusione e 85mila euro di multa per 43 imputati. Si tratta di un procedimento di enorme rilievo, nato dalla maxi-inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia e della Dia contro la prima “locale” ufficiale di ‘ndrangheta a Roma, un’organizzazione criminale radicata nel territorio e legata ai potenti clan calabresi.

Secondo gli inquirenti, la cosca avrebbe infiltrato il tessuto economico e sociale della Capitale, controllando attività commerciali, traffici di droga e interi settori dell’imprenditoria. L’operazione Propaggine ha permesso di documentare l’esistenza di una struttura stabile, con ruoli definiti e un vertice riconosciuto, capace di imporre la propria autorità anche fuori dai confini regionali.

Tra le richieste più pesanti figurano i 30 anni di carcere chiesti per Vincenzo Alvaro e Marco Pomponio, considerati tra i vertici dell’organizzazione. Per Giuseppe Penna la procura ha chiesto 24 anni e 11 mesi, mentre Antonio Palamara rischia 21 anni e 9 mesi. A Francesco Greco vengono invece contestati reati che potrebbero costargli 19 anni e 5 mesi di reclusione.

Le accuse, a vario titolo, comprendono associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsione aggravata, detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni, truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e favoreggiamento aggravato. Un mosaico di reati che, secondo la procura, conferma la piena operatività della ‘ndrangheta nel cuore di Roma.

Nel processo vengono ricostruite anche le modalità con cui la cosca avrebbe gestito i proventi illeciti. Le indagini hanno rivelato un sistema di riciclaggio sofisticato, con investimenti nel settore immobiliare e nella ristorazione, utilizzati come canali per reinserire nel circuito legale il denaro proveniente dalle attività criminali.

L’inchiesta Propaggine rappresenta un tassello fondamentale nella lotta contro l’espansione della ‘ndrangheta a Roma, fenomeno che negli ultimi anni ha assunto proporzioni sempre più preoccupanti. Gli investigatori hanno descritto una rete capillare di affari, violenze e intimidazioni, in grado di condizionare la vita economica della città.

In un procedimento parallelo, celebrato con rito abbreviato, il boss Antonio Carso è già stato condannato in appello a 18 anni di reclusione. Tale sentenza, secondo la procura, conferma la solidità del quadro accusatorio e l’esistenza di un legame diretto tra la locale romana e le cosche calabresi di riferimento.

L’indagine della DDA di Roma e della Direzione Investigativa Antimafia ha coinvolto centinaia di uomini tra investigatori e forze speciali, impegnati in un lavoro investigativo durato anni, fatto di intercettazioni, pedinamenti e analisi economiche. Un impegno che, secondo gli inquirenti, ha permesso di svelare l’intreccio tra criminalità organizzata e imprenditoria capitolina.

La sentenza del processo Propaggine è attesa nei prossimi mesi e segnerà un passaggio decisivo nella lotta contro la criminalità organizzata a Roma. Per la Direzione Nazionale Antimafia, si tratta di un caso simbolo: la prova che la ‘ndrangheta ha ormai raggiunto una presenza strutturata e stabile anche nella Capitale, dove da tempo tenta di sostituirsi ai poteri criminali locali.

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