
La puntata di Ore 14 Sera, condotta da Milo Infante, ha riacceso i riflettori su uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni: il caso Garlasco. Un confronto acceso che ha riportato in primo piano le tensioni mai sopite tra esperti e opinione pubblica, trasformando lo studio televisivo in un vero e proprio tribunale mediatico dove ogni parola pesa come una prova.
Fin dalle prime battute, la trasmissione ha ripercorso una vicenda che, nonostante la condanna definitiva di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, continua a dividere. Sullo schermo si sono confrontate l’avvocata Giada Bocellari, legale di Stasi insieme ad Antonio De Rensis, e la criminologa Roberta Bruzzone, da tempo una delle voci più critiche sulla personalità del condannato.
Il dibattito sul materiale informatico e le accuse reciproche
Il punto di partenza del confronto è stato il materiale pornografico rinvenuto nel computer di Stasi, che secondo Bruzzone sarebbe “cruciale” per comprendere la sua personalità. Un’interpretazione che la difesa ha respinto con decisione, sostenendo che quelle immagini non abbiano alcun valore probatorio né psicologico rispetto al delitto avvenuto nel 2007.
La tensione è salita quando Bocellari ha sottolineato l’importanza di restituire complessità alla narrazione mediatica del caso: “Ho sottovalutato l’impatto dell’opinione pubblica. Stasi è arrivato in aula già condannato”. Con queste parole, l’avvocata ha denunciato il peso dei pregiudizi e delle semplificazioni giornalistiche, per poi estrarre in diretta un documento inatteso: la cartella clinica psichiatrica di Stasi, redatta in carcere dal 2015 e contenente relazioni e valutazioni psicologiche.
“Per lui è molto pericoloso”. Garlasco, la legale di Stasi rompe il silenzio sulla sua attuale situazione

“Mi ha autorizzata Alberto”: la rivelazione in diretta
“Questa l’ha letta? Stasi mi ha autorizzato espressamente”, ha dichiarato Bocellari, replicando a un virgolettato della stampa riguardante i video “raccapriccianti e violenti”. L’avvocata ha poi aggiunto: “Era un passaggio parziale di un provvedimento del tribunale di sorveglianza, non della relazione completa. Sfido Bruzzone: pubblichi l’intera cartella, dati sensibili inclusi, anche sugli aspetti sessuali”.
Una provocazione che mirava a denunciare il rischio di giudizi costruiti su informazioni frammentarie e fuori contesto. Bruzzone, dal canto suo, ha difeso la propria posizione: “Ho citato solo quanto pubblicato con virgolette da testate importanti, a cui anche voi vi rivolgete per interviste. Se i giornalisti hanno sbagliato, ne prendo atto. Ma il collega ha definito il materiale violento e raccapricciante?”. Lo scambio si è trasformato in un duello acceso sulla responsabilità delle narrazioni mediatiche e sul confine tra analisi e spettacolarizzazione.

Nuove indagini e un caso ancora aperto
Mentre il confronto in studio si faceva sempre più teso, sullo sfondo emergono nuovi sviluppi investigativi. A Milano si apre un nuovo capitolo dell’inchiesta sui pc e sui cellulari di Stefania Venditti, considerata una testimone chiave del processo. Parallelamente, riaffiora la versione di Lovati sulle presunte “indagini preventive”, ritenuta dai pm poco convincente ma sufficiente a riaccendere i dubbi su un caso che, quindici anni dopo, continua a far discutere.
Il caso Garlasco resta così un mosaico in movimento, dove la televisione non è solo un luogo di confronto ma anche uno specchio delle tensioni che attraversano la giustizia italiana. Un dibattito che, ancora oggi, mette in discussione non solo un verdetto, ma il modo stesso in cui i media raccontano la verità.




