
Il Tribunale di Prato ha emesso una decisione che segna un passaggio cruciale nel procedimento legato alla morte di Luana D’Orazio, con l’assoluzione piena del tecnico incaricato della manutenzione dell’orditoio coinvolto nell’incidente. La vicenda giudiziaria, seguita con grande attenzione negli ultimi anni, ha riportato al centro dell’attenzione il tema della sicurezza sul lavoro e delle responsabilità nella gestione degli impianti industriali, soprattutto in settori dove le lavorazioni presentano rischi significativi. In questo contesto, la figura del manutentore è stata più volte analizzata per comprendere se potessero esserci stati comportamenti in contrasto con le norme vigenti.
Secondo quanto ricostruito nel corso del processo, le accuse a suo carico riguardavano l’ipotesi di omicidio colposo e la presunta rimozione dolosa delle misure di sicurezza. L’uomo aveva però sempre affermato la propria totale estraneità ai fatti, scegliendo di affrontare il rito ordinario, diversamente da altri imputati nella stessa inchiesta. Questa scelta aveva conferito alla sua posizione un iter più lungo e complesso, caratterizzato da un approfondito dibattimento.
La sentenza

La decisione è arrivata dopo una fase istruttoria particolarmente articolata, durante la quale il pubblico ministero aveva formulato la richiesta di una condanna a due anni e otto mesi. Il giudice del Tribunale di Prato ha però riconosciuto l’assoluta insussistenza delle accuse, stabilendo che le contestazioni rivolte al tecnico non trovavano alcun riscontro concreto nelle prove raccolte. L’assoluzione con formula piena ha così chiuso la sua posizione all’interno del caso.
Il procedimento era legato alla tragedia avvenuta il 3 maggio 2021 a Montemurlo (Prato), dove la giovane operaia ventiduenne aveva perso la vita mentre lavorava all’orditoio. Un episodio che aveva colpito profondamente l’opinione pubblica e riacceso il dibattito sulle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare all’interno del distretto tessile pratese, dove molte realtà produttive operano con macchinari complessi e ad alto rischio.
Diversa era stata invece la scelta dei titolari dell’azienda, Daniele Faggi e Luana Coppini, che avevano definito la loro posizione attraverso un patteggiamento. Le pene concordate erano state rispettivamente di un anno e sei mesi e di due anni di reclusione, entrambe con sospensione condizionale. In questo modo, per loro il procedimento si era concluso in tempi più rapidi, pur lasciando aperti i temi legati alla gestione della sicurezza.
L’assoluzione di Mario Cusimano

La sentenza che riguarda Mario Cusimano rappresenta un punto di svolta significativo, soprattutto considerando la delicatezza delle accuse iniziali. Il giudice ha escluso qualsiasi responsabilità del tecnico rispetto alle presunte modifiche alle misure di sicurezza dell’impianto, sottolineando che non vi erano elementi per attribuirgli un coinvolgimento diretto o indiretto nel malfunzionamento dell’orditoio.
L’esito del processo chiude così una delle pagine più complesse di una vicenda che, per la sua gravità e per l’impatto sociale, continua a rappresentare un riferimento nel dibattito sulla tutela dei lavoratori e sulla necessità di garantire controlli rigorosi nei contesti produttivi. Una conclusione che riporta l’attenzione sulla centralità della prevenzione e sulla responsabilità condivisa nella gestione della sicurezza industriale.


