
Un lunedì sera ad alta tensione quello del 17 novembre a Lo Stato delle Cose. Quando, in collegamento video, è apparso Massimo Lovati, l’atmosfera nello studio di Massimo Giletti si è subito accesa. L’ex avvocato di Andrea Sempio ha accettato l’invito del conduttore per raccontare la sua versione dei fatti in un momento segnato da inchieste, sospetti e presunte corruzioni in atti giudiziari. Fin dai primi minuti, la sensazione era quella di assistere a un nuovo capitolo di una storia che continua a catturare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Lovati ha ripercorso la giornata del suo interrogatorio, definendola un passaggio fondamentale per chiarire la propria posizione. Con tono deciso, ha sottolineato: «due ore sono servite per la trascrizione, quindi la chiacchierata sarà durata un’ora e mezza». Poi, con una calma apparente, ha fatto nomi pesanti: l’ex procuratore aggiunto Mario Venditti, indicato come presunto corrotto, e Giuseppe Sempio, padre dell’indagato e ritenuto possibile corruttore dagli inquirenti.
Un racconto che si fa sempre più intricato

Con il passare dei minuti il racconto di Lovati si è fatto sempre più dettagliato. Ha confermato di aver ricevuto 15 mila euro per la difesa della famiglia Sempio, denaro che avrebbe ritirato nello studio dell’avvocato Soldani e di Simone Grassi. «Quello che ho sempre detto qui l’ho ripetuto alla Procura di Brescia ed è la verità. Perché devo mentire?», ha ribadito con fermezza. Poi ha aggiunto: «Io andavo a prenderli nel suo studio, era Soldani che li divideva. Mi pare di aver intuito che Soldani e Grassi abbiano cambiato versione sui soldi in contanti, quindi che abbiano riconosciuto di aver preso la loro parte del denaro».
Secondo Lovati, il punto cruciale sarebbe nel fatto che «avrebbero dichiarato anche che ero io a fare i conti, ma io non li ho mai fatti». Parole che hanno alzato ulteriormente il livello di tensione, rendendo il quadro ancora più complesso e difficile da decifrare.
Il momento più teso in diretta

La serata ha raggiunto il suo apice quando Giletti ha chiesto se Lovati avesse davvero rivelato agli inquirenti il nome di chi gli avrebbe consegnato una consulenza riservata — quella documentazione che non avrebbe mai dovuto uscire dagli uffici giudiziari. Lovati ha risposto senza esitazioni: «È vero, ma Paganini non ripete». E ha ricordato di aver già anticipato quel nome ai giornalisti, in particolare a Giangavino Sulas, lasciando intendere che molti dettagli fossero già noti. Un uomo, il suo profilo, che appare consapevole del rischio ma convinto di non avere nulla da nascondere.

La frase che gela lo studio

La chiusura è arrivata come un colpo di scena. Rivolgendosi idealmente a Sulas, Lovati ha pronunciato una frase destinata a far discutere: «Se io dovessi mettermi nei panni di Giangavino Sulas, non dovrei difendermi da nulla. Perché dovrei coprire qualcuno? È la verità. Io non ho bisogno di coprire nessuno, è Stasi che ha coperto gli assassini». Un’affermazione che ha gelato lo studio e spostato il discorso ben oltre la questione dei soldi o delle consulenze.
In un attimo, l’intervista è diventata qualcosa di più: un nuovo capitolo nel mistero del delitto di Garlasco, che dopo anni continua a suscitare emozioni, domande e sospetti. La frase di Lovati non è solo un’accusa: è una scintilla che riaccende un caso mai davvero chiuso.


