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Scontro Palazzo Chigi-Quirinale, caso chiuso? Non troppo. Mattarella ancora irritato

Pubblicato: 20/11/2025 06:32

Nel tardo pomeriggio, quando la luce si ritira dai palazzi e le notizie cominciano a stratificarsi, al Quirinale arriva una sensazione chiara, solida, quasi fisica: irritazione. Non fastidio, non imbarazzo istituzionale, ma una vera irritazione, nata dall’ennesimo passaggio considerato ambiguo da parte del governo. Perché la premier Giorgia Meloni, durante il colloquio, aveva usato toni morbidi, persino dispiaciuti. Aveva lasciato intendere che qualcosa nel comportamento di Galeazzo Garofani e nella gestione del caso fosse sfuggito di mano. E invece, appena il dialogo si era chiuso, era comparso un comunicato che al Colle viene percepito come un colpo basso, una smentita di fatto di quel clima composto. Da qui nasce la reazione più netta che si sia percepita negli ultimi mesi: il Presidente Mattarella rimane sorpreso, contrariato, infastidito dal doppio registro del partito di maggioranza. Un sentimento che attraversa i corridoi e che riaccende la domanda che ormai da settimane circola sottovoce: il caso è davvero un incidente o diventa un metodo politico?

Reazione del Colle

Al Colle, la sequenza degli eventi viene letta come un paradosso. Da un lato la presidente del Consiglio avrebbe espresso un certo riconoscimento dell’errore comunicativo, persino un accenno alla possibilità che Bignami avesse sbagliato tono; dall’altro, e quasi simultaneo, un documento pubblico che ribadisce la linea dura. È qui che scatta l’irritazione, perché per Mattarella il punto non è personale, né riguarda la richiesta di dimissioni di Garofani, mai avanzata. Il nodo è politico: mentre la premier si dice rispettosa dell’istituzione, i suoi capigruppo firmano un testo che sembra inchiodare il Quirinale a un ruolo che non ha. L’unica linea diretta tra i due palazzi si attiva subito, passando dal consigliere Alfredo Mantovano: messaggi, precisazioni, parole pesate con cura. Il Colle fa sapere che quel passo indietro, se c’è, non può essere accompagnato da un passo avanti polemico. Perché, questo è il ragionamento, uno scontro istituzionale non si chiude fingendo che non sia mai avvenuto.

La retromarcia del governo

Dal terzo paragrafo entrano i fatti. A Roma è già buio quando il governo corregge la rotta: caso chiuso, proclama la nota di Fratelli d’Italia, stima immutata per il Presidente. Ma il Colle non finge di non aver visto ciò che ha preceduto la retromarcia. Il caso della mail anonima finita quasi identica su un quotidiano, l’uso del presunto “scossone” attribuito a Garofani quando nella mail quel termine non compare affatto, l’eco politica amplificata dal partito: tutto questo, per la presidenza della Repubblica, è un accumulo che produce diffidenza. Non è solo la polemica del giorno; è il contesto che la fa esplodere. Anche perché, durante il colloquio, Mattarella chiarisce che l’articolo de La Verità era costruito contro il capo dello Stato, e che farlo proprio significa colpire non un consigliere, ma l’istituzione stessa. Meloni ribatte che l’intenzione era opposta: proteggere la presidenza, criticare solo l’errore del funzionario. Ma agli occhi del Colle, quella spiegazione non basta a dissolvere i dubbi.

Una tregua fragile

La formula finale è identica per entrambi: caso chiuso. Ma per il Quirinale, il caso è stato aperto e chiuso dalla stessa mano, e non senza conseguenze. Resta l’impressione che la denuncia del governo su presunte manovre interne possa essere diventata, strada facendo, un’operazione politica rivolta verso l’alto della Repubblica. E resta anche la domanda che molti al Colle non riescono a scacciare: perché riaprire la polemica sul premierato proprio nelle ore più tese? La tregua regge, ma è una tregua di superficie, più obbligata che convinta. Perché venti minuti possono chiarire un equivoco, non una strategia. E se davvero l’irritazione è diventata la cifra di questo rapporto, nessuno al Quirinale crede che questa sia stata l’ultima scossa.

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