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“Numero italiano, ma chiamano da lì”. Nuove truffe telefoniche: come riconoscerle e non rispondere

Pubblicato: 21/11/2025 16:28

Le truffe digitali continuano a crescere anche in Italia, spesso iniziano con un semplice messaggio WhatsApp, una chiamata o un sms, e possono trasformarsi in frodi lavorative, multe inesistenti o addirittura relazioni sentimentali costruite ad arte. Per arginare il fenomeno, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha introdotto un nuovo blocco contro le telefonate provenienti da call center stranieri che simulano numeri mobili italiani.

Ecco da dove provengono più spesso, secondo inchieste internazionali e report ufficiali

🌏 Paesi da cui partono la maggior parte delle chiamate-truffa

  • Cambogia – È considerata l’epicentro mondiale dei call center truffa. Qui sorgono enormi “compound” controllati da gruppi criminali.
  • Laos – Molti centri sono situati nelle zone economiche speciali, dove la regolamentazione è molto debole.
  • Myanmar – Le aree di confine, fuori dal controllo del governo, ospitano strutture gestite da milizie e mafia locale.
  • Thailandia – Spesso le chiamate partono da zone di frontiera, perché sfruttano infrastrutture elettriche e di telecomunicazione thailandesi.
  • Filippine e Vietnam – Presenti numerosi call center illegali, anche se meno “industriali” rispetto a quelli cambogiani.
  • Cina continentale – Alcune operazioni sono gestite da reti criminali interne, poi spostate all’estero.

📞 Perché usano numeri italiani (o europei)?

Perché tramite:

  • spoofing (falsificazione del numero chiamante),
  • VoIP a basso costo,
  • app e software che simulano prefissi telefonici,

riescono a far apparire il numero come italiano, così la vittima abbassa la guardia.

Dentro il sistema dei centri truffa in Asia

Ciò che pochi conoscono è il mondo sotterraneo che alimenta queste frodi globali. Molti dei “truffatori”, infatti, non sono liberi esecutori, ma a loro volta vittime di reti criminali che li costringono a operare sotto minacce e violenze. Negli ultimi anni, soprattutto nel sud-est asiatico – Cambogia, Laos e Myanmar – sono sorti enormi complessi dove centinaia di persone vengono reclutate, spesso con l’inganno, per lavorare in condizioni che ricordano vere forme di schiavitù moderna.
Secondo un rapporto del Dipartimento del Tesoro statunitense, gran parte delle frodi che hanno colpito cittadini americani nel 2024 – per un danno stimato di dieci miliardi di dollari – sarebbe partita proprio da questi hub, progettati per truffare in ogni parte del mondo.
Un’indagine internazionale ha recentemente portato al più grande sequestro di criptovalute mai effettuato finora, 14 miliardi di dollari, riconducibili a Chen Zhi, imprenditore cinese naturalizzato cambogiano, sospettato di aver accumulato ricchezze sfruttando il lavoro forzato. Queste strutture, che all’apparenza sembrano normali edifici residenziali o complessi aziendali, ospitano invece veri centri operativi delle frodi digitali.

Come operano le truffe e perché sono difficili da fermare

Le persone reclutate – spiega il Dipartimento del Tesoro – spesso sono vittime di traffico di esseri umani e sottoposte a «abusi fisici, isolamento, restrizioni della loro libertà, multe arbitrarie, minacce di sfruttamento sessuale e confisca dei documenti».
Tra le tecniche più diffuse c’è il cosiddetto “pig butchering”, ossia “macellazione del maiale”: prima si costruisce un legame emotivo con la vittima, poi si propongono falsi investimenti in criptovalute. Le piattaforme, controllate dai criminali, mostrano rendimenti fittizi per convincere la persona a continuare a versare denaro, fino alla scomparsa improvvisa dell’interlocutore insieme all’intero capitale.
Per individuarne i mandanti, spiegano gli analisti, uno degli ostacoli principali è tracciare i flussi economici, spesso nascosti dentro proprietà di lusso e portafogli digitali criptati. Anche quando l’identità dei capi emerge, come nel caso di Chen Zhi, non sempre le autorità locali collaborano: il governo cambogiano, per esempio, ha replicato auspicando che le accuse fossero supportate da «elementi sufficienti» e sostenendo che il gruppo collegato all’imprenditore avrebbe operato «nel pieno rispetto delle norme nazionali».

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Ultimo Aggiornamento: 21/11/2025 16:29

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