
Negli ambienti televisivi e musicali si respirava un’attesa particolare: un ritorno previsto, un appuntamento mancato all’ultimo secondo, una sensazione sottile che qualcosa non fosse al suo posto. La presenza di Ornella Vanoni, quel misto unico di ironia affilata, eleganza naturale e spontaneità disarmante, era diventata un’abitudine per il pubblico delle domeniche televisive. Ma dietro le quinte, nei giorni immediatamente precedenti alla tragedia, piccoli segnali avevano iniziato a disegnare un quadro più complesso. Segnali che ora, inevitabilmente, acquistano un significato diverso.

Il dolore improvviso e la telefonata rivelatrice
Secondo quanto raccontato dal Corriere della Sera, tutto sarebbe cominciato pochi giorni prima della morte. Ornella confida al critico cinematografico Maurizio Porro un malessere che la preoccupa più di quanto voglia ammettere. Le sue parole sono limpide, dolorose, quasi una richiesta d’aiuto velata:
«Non sto bene, ho un dolore a una vertebra… come un coltello che ti trapassa la schiena. Mi sento strana».
Un dolore così violento da impedirle persino di presentarsi da Fabio Fazio, nonostante la promessa di tornare la domenica successiva: non un semplice imprevisto, ma un campanello d’allarme che lei stessa cerca di minimizzare. Ornella aveva già programmato una visita in una clinica di Pavia per il lunedì successivo, convinta che l’équipe medica l’avrebbe “rimessa a posto”. Una fiducia serena, quasi ostinata, che ora genera un senso inevitabile di sospensione.
Il mito che non ha mai smesso di reinventarsi
Nonostante i suoi 91 anni, Ornella sembrava attraversare una seconda giovinezza artistica. La sua presenza a Che tempo che fa l’aveva riportata al centro della scena, amatissima da un pubblico trasversale, capace di affascinare tanto i ventenni quanto gli spettatori storici. La sua spontaneità, lontana da filtri e sovrastrutture televisive, era diventata un tratto distintivo in un panorama sempre più ingessato.
Anche discograficamente era tutt’altro che ferma. Per il suo novantesimo compleanno aveva inciso “Ti voglio” con Elodie e Ditonellapiaga, mostrando un’apertura sorprendente verso le nuove generazioni. Poi era arrivato “Diverse”, il progetto pubblicato con BMG, e ancora “Vincente o perdente”, il libro realizzato con Pacifico: una sorta di diario intimo che ripercorreva una vita che sembrava impossibile racchiudere in una sola esistenza.
Una storia artistica nata dallo scandalo e diventata leggenda
Il percorso di Ornella era stato fuori da ogni schema sin dall’inizio. Figlia della borghesia milanese, si ritrova a vent’anni immersa nella Milano del Piccolo Teatro, accanto a Giorgio Strehler. Le Canzoni della Mala, create insieme a figure come Dario Fo, Fausto Amodei, Gino Negri e Fiorenzo Carpi, diventano un caso nazionale: colte, ricercate, ma presentate come materiale popolare riscoperto. Un’idea geniale che segna per sempre l’identità di Ornella come interprete.

Il legame indissolubile con Gino Paoli
Fu proprio dopo l’esperienza al Piccolo che Ornella entra in contatto con la Scuola Genovese. Il resto è storia: l’amore travolgente con Gino Paoli, immortalato in “Senza Fine”, una delle più grandi canzoni italiane di sempre.
Il loro rapporto attraversa passioni, crisi, allontanamenti, ritorni. Non smette mai, però, di nutrirsi di un affetto autentico, sopravvissuto al tempo e alle loro vite separate. I concerti insieme, negli ultimi anni, avevano trasformato quel legame in uno spettacolo naturale, quasi teatrale, dove ironia e sentimento coesistevano senza mai forzarsi.
Una voce che non apparteneva solo al passato
Dalle cover di Roberto Carlos ed Édith Piaf ai progetti brasiliani con Vinicius de Moraes e Toquinho, Ornella ha attraversato generi e mondi musicali con un’eleganza rara. La sua interpretazione era un marchio inconfondibile: sensuale, brillante, emotiva. Una voce che non si limitava a cantare, ma raccontava. Tra le sue collaborazioni più prestigiose compaiono anche Lucio Dalla, Fabrizio De André, Gil Evans, Herbie Hancock, i Brecker, Ron Carter. L’album “Ornella &”, registrato negli anni ’80 a New York, rimane una delle pagine più raffinate della discografia italiana.
La sua grandezza stava anche nella capacità di restare contemporanea senza inseguire le mode. Non era un monumento da celebrare, ma una presenza viva, ironica, pungente, con una lucidità intatta. Proprio per questo la sua morte, avvenuta all’improvviso nella sua casa di Milano, ha colpito tutti come un fulmine inatteso.
Fino a pochi giorni prima programmava impegni, confidava progetti, raccontava dolore e speranza nella stessa frase. Nulla lasciava presagire un epilogo così rapido.


