
Tra confessioni dolorose e ricordi lucidi, emerge un aspetto spesso ignorato ma centrale nella vita di Ornella Vanoni: il suo rapporto complesso, diretto e senza veli con l’uso di droghe e sostanze, soprattutto durante gli anni più intensi della sua carriera e delle sue relazioni sentimentali. Nella lunga intervista rilasciata pochi mesi prima della morte, l’artista parlava con la consapevolezza di chi aveva vissuto tutto, senza filtri e senza mitologie. E tra i tanti elementi che raccontava, quello legato agli eccessi e alle esplorazioni con sostanze è forse il più rivelatore del clima culturale, emotivo e personale in cui ha vissuto.
“Se erano le droghe… mi allineavo”: l’altra faccia della sua storia
Il passaggio più netto arriva quando rievoca gli anni con Giorgio Strehler, una relazione travolgente e fuori dagli schemi, che per lei rappresentò una gigantesca immersione in esperienze radicali. È in quel racconto che ammette: «Se c’era da sperimentare con l’erotismo, se era quello che desiderava, mi affidavo. Se erano le droghe, o qualsiasi possibilità di alterazione, mi allineavo».
Quelle parole, che oggi risuonano con una forza diversa, fotografano il modo in cui Vanoni affrontava ciò che la vita le buttava addosso: non con distanza, ma con un abbandono totale alla persona che amava e al contesto culturale degli anni in cui viveva. Non una condanna, non un vanto: una semplice verità. Da giovane, raccontava, si era sempre sentita “fragile” e “piena di nervi tirati”, e in questa fragilità emotiva trovavano spazio tutto ciò che alterava la percezione e rompeva i confini. Non era un mistero, non lo nascondeva: parlava delle sostanze con la lucidità di chi sa cosa ha attraversato e cosa ha rischiato.
Il suo racconto non cercava di mitizzare nulla, ma piuttosto spiegava come quegli anni abbiano rappresentato un periodo di sperimentazione totale: dentro la coppia, dentro il mondo artistico, dentro la Milano “escludente e nevrastenica” che descriveva con lucidità. Per Vanoni, l’alterazione era spesso una risposta alla vulnerabilità. Non a caso, parlando della depressione, raccontava di averla affrontata più volte: «Ho attraversato diverse volte quella foresta spettrale», aggiungendo che i farmaci erano diventati «una barriera» essenziale per non cadere oltre.
Molti dei suoi ricordi più intensi ruotano attorno al concetto di “perdere il controllo”: una costante che torna quando parla della vita vissuta “saltando nel fuoco”, come quando dice: «Tra un passo indietro prudente e un salto nel vuoto io ho sempre saltato». Ed è proprio lì, nel salto, che si nasconde anche il suo rapporto con le droghe: non come dipendenza, ma come partecipazione totale alla vita più estrema, più emotiva e più dolorosa. Oggi, quelle sue parole restano una testimonianza rara e onesta di un’epoca e di una donna che non ha mai avuto paura di raccontarsi.


