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“Il nome del killer è già nelle carte”: Resinovich, le parole che cambiano tutto

Pubblicato: 22/11/2025 13:58

Il caso Liliana Resinovich si riapre con un nuovo slancio, mentre nelle carte dell’inchiesta tornano a emergere tracce, omissioni e zone d’ombra che non hanno mai smesso di alimentare interrogativi. Le parole dell’avvocato Nicodemo Gentile, da anni al fianco del fratello di Liliana, riportano al centro della scena quella verità che molti ritengono già scritta, o quantomeno delineata, negli atti ufficiali. Una verità che, secondo la difesa, attende soltanto di essere letta con la determinazione necessaria. E adesso, dopo la decisione della Cassazione sul ricorso degli avvocati di Sebastiano Visintin, il quadro giudiziario si muove di nuovo, costringendo a guardare con attenzione dove finora non si è scavato abbastanza.

A cambiare il passo è proprio il pronunciamento della Corte, che rimette al centro dell’inchiesta alcuni elementi ritenuti cruciali dagli avvocati della famiglia. Gentile sostiene che la svolta non risieda in nuove rivelazioni, ma nella lettura rigorosa di ciò che già esiste: documenti, reperti, orari, filmati. Per questo ribadisce che “la verità e il nome dell’assassino sono già nelle carte”, invitando gli inquirenti a procedere senza esitazioni. Il riferimento è a quegli aspetti tecnici che nei mesi hanno sollevato dubbi, soprattutto nei consulenti della famiglia Resinovich.

A diventare centrali, ora più che mai, sono due elementi probatori: il cordino repertato e i video GoPro del 14 dicembre. Gentile li definisce “chiave”, perché su entrambi pendono dubbi mai del tutto chiariti. Nel caso del cordino, si tratta di un reperto che potrebbe raccontare molto di più sulla dinamica della morte di Liliana, mentre sui filmati restano da spiegare alcune presunte “alterazioni e tagli” già segnalati alla Procura. È proprio su questi materiali che, secondo la difesa, occorre tornare per mettere ordine nelle discrepanze e completare un quadro che non può restare sospeso tra ipotesi incompatibili.

La richiesta è netta: andare “fino in fondo”. Un appello che nasce dalla sensazione, diffusa tra i familiari di Liliana e i loro legali, che la verità reale sia stata sempre a un passo, ma mai davvero afferrata. La decisione della Cassazione apre dunque un varco, un’occasione per riprendere in mano il cuore dell’inchiesta e non lasciare ombre dove possono esserci risposte. Nell’attesa che la magistratura valuti se questi elementi meritano un nuovo approfondimento, la famiglia chiede che a parlare siano i reperti, senza interpretazioni e senza scorciatoie.

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