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Famiglia nel bosco, l’appello di Nathan alla premier: “Ridatemi i miei bambini”

Pubblicato: 22/11/2025 20:05

Il caso della famiglia nel bosco esplode di nuovo, in un intreccio di emozioni, provvedimenti urgenti e scontri istituzionali. Nathan, il padre dei tre bambini allontanati dalla casa immersa nei boschi vicino a Chieti, parla con voce ferma ma provata: «Per favore, chiuda il caso contro la nostra famiglia e faccia ritornare i miei bambini e mia moglie a casa, dove stavamo vivendo una vita felice». È un messaggio diretto alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a cui chiede un intervento per riunire la famiglia dopo la decisione del tribunale dei minori che ha disposto il trasferimento dei piccoli e della madre in una struttura protetta.

La decisione del tribunale dei minori

Per ricostruire la vicenda bisogna tornare al provvedimento del tribunale dei minori dell’Aquila, che ha sospeso la responsabilità genitoriale dei due genitori anglo-australiani, collocando i bambini in comunità con la madre e nominando un tutore. Al centro del decreto ci sono le condizioni della casa nel bosco, descritta come un casolare privo di abitabilità, e l’isolamento pressoché totale dei bambini sul piano educativo, sanitario e sociale. La famiglia, che da anni vive nei boschi in una condizione essenziale e autonoma, rivendica da sempre un modello di vita alternativo; ma nelle relazioni dei servizi sociali compaiono criticità ricorrenti: difficoltà nei controlli medici, contrasti sul tema delle vaccinazioni, assenza di documentazione formale sull’istruzione parentale, oltre a un contesto di forte isolamento che – secondo i giudici – danneggia la “vita di relazione” dei minori.

Nel provvedimento si parla di un rischio concreto per l’integrità psico-fisica dei tre bambini, ritenendo necessario un allontanamento urgente per garantirne sicurezza, socialità e continuità educativa. Da qui la scelta di collocarli in una struttura protetta, dove ora si trovano insieme alla madre.

Le reazioni e il nodo da sciogliere

L’appello di Nathan arriva mentre la politica osserva con crescente attenzione. La premier Meloni ha espresso preoccupazione per la vicenda, confrontandosi con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ha definito «molto delicato» l’intervento del tribunale e ha annunciato verifiche sull’intero iter, sottolineando quanto sia sempre “doloroso” il distacco dei minori dalla famiglia. In queste ore, tra governo e istituzioni giudiziarie, il tema è diventato anche un caso simbolico sul confine tra libertà genitoriale e tutela pubblica dell’infanzia.

L’altra faccia della storia è quella dei cittadini: proteste, petizioni online, discussioni accese. C’è chi difende il diritto della coppia di crescere i figli in una vita diversa, e chi invece ricorda che al centro non c’è una battaglia culturale ma tre bambini la cui crescita – dicono psicologi e giudici – non può essere affidata a un isolamento totale.

Nel casolare nel bosco oggi è rimasto solo Nathan, che continua a ripetere che i figli non erano in pericolo, che vivevano un’esistenza “diversa ma felice”. Dall’altra parte, gli atti del tribunale raccontano un quadro di fragilità: mancate tutele sanitarie, assenza di socializzazione, struttura abitativa non idonea.
Il prossimo passo dipenderà dalle valutazioni tecniche sulla salute, sul benessere psicologico e sul percorso educativo dei minori, che determineranno se confermare l’allontanamento o permettere un graduale ricongiungimento.

In mezzo resta una domanda aperta: fino a dove può spingersi la libertà di una famiglia che sceglie un modello di vita radicale, e quando lo Stato ha il dovere di intervenire? L’appello di Nathan tenta di spostare l’ago della bilancia: vuole che si torni alla normalità della loro casa nel bosco, mentre la giustizia cerca di capire se quella normalità fosse davvero un luogo sicuro per tre bambini.

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