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Il piano di Trump scricchiola: passo indietro alla Casa Bianca e pressione crescente sul fronte alleato

Pubblicato: 22/11/2025 20:59

Il chiarimento arrivato da Donald Trump, secondo cui la proposta americana non sarebbe un’“offerta finale”, rivela una fragilità politica che sta diventando il tratto dominante della fase attuale della guerra Ucraina Russia. Il presidente degli Stati Uniti era apparso convinto di poter imporre a Kiev una soluzione costruita con Mosca, forte dell’urgenza interna di chiudere rapidamente il dossier ucraino. Ma la reazione del Congresso, la freddezza degli alleati europei e le resistenze emerse sia nel Partito repubblicano sia nella NATO hanno trasformato quella sicurezza in un arretramento tattico. Le parole con cui Trump precisa che il piano “non è l’ultima offerta” non sono un gesto di apertura verso Zelensky: sono un segnale di difficoltà nel tenere insieme un fronte interno che non accetta l’idea di legittimare conquiste territoriali russe e che teme un accordo troppo piegato agli interessi del Cremlino. È un passo indietro politico, non diplomatico, perché non modifica l’impianto della proposta, ma corregge il tono: Washington resta in pressing su Kiev, ma non può più farlo con la brutalità di un ultimatum.

L’Europa fiuta la debolezza e tenta di rientrare nel gioco

Il mezzo arretramento di Trump ha riaperto spazi che l’Europa non aveva più. I leader dei Paesi nordici e baltici, insieme a Regno Unito, Francia e Germania, insistono sul principio irrinunciabile dei confini intangibili, mentre Bruxelles prova a rimettere al centro la propria linea politica, quella che rifiuta una pace a condizioni dell’aggressore. Anche l’Italia, con l’invio del consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, si posiziona nel quadrante occidentale che chiede una “pace giusta”, un’espressione scelta con attenzione perché definisce il limite oltre cui nessuno in Europa può spingersi senza perdere credibilità. Zelensky intercetta questo movimento e lo rilancia, parlando di un sostegno ampio e diffuso da parte dei leader europei dopo la telefonata con Keir Starmer. È un modo per mostrare che non è isolato, e soprattutto che l’Ucraina non può essere schiacciata tra Washington e Mosca. La diplomazia europea fiuta la debolezza americana e tenta di rientrare nel gioco, consapevole che la configurazione finale del tavolo dipenderà proprio dal grado di compattezza che riuscirà a mostrare nelle prossime ore.

Il fronte interno Usa si spacca e mette in crisi la strategia presidenziale

L’elemento più destabilizzante per Trump arriva però dagli Stati Uniti, dove senatori repubblicani di peso – da Mitch McConnell a Roger Wicker – respingono con durezza un piano giudicato rischioso per la sicurezza occidentale. In un momento decisivo della guerra Ucraina Russia, la Casa Bianca si trova costretta a difendersi più a Washington che a Kiev. La critica bipartisan sostiene che concedere terreno a Putin sarebbe una sconfitta geopolitica non solo per l’Ucraina, ma per gli stessi Stati Uniti, perché mostrerebbe un Occidente disposto a tollerare la logica della forza. È in questo contesto che va letto il passo indietro presidenziale: Trump chiarisce che il piano non è definitivo perché sa di non avere ancora la forza politica per imporre un accordo così divisivo. La trattativa con Zelensky è solo una parte del problema; quella con il Congresso è molto più complessa. E se l’Ucraina rischia di essere spinta verso un compromesso, oggi è la strategia americana ad avere le fondamenta meno solide. Un negoziato costruito su equilibri così precari entrerà a Ginevra con un protagonista indebolito, e con un interrogativo decisivo: quanto potrà durare un accordo che in America non convince neppure chi dovrebbe sostenerlo?

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