
Il primo caso umano di H5N5 registrato negli Stati Uniti riporta al centro il tema dell’influenza aviaria, perché il virus ha colpito un uomo per la prima volta. La vittima è un anziano dello Stato di Washington, già fragile per condizioni pregresse, proprietario di un pollaio esposto al contatto con uccelli selvatici. Ricoverato a novembre con febbre alta, confusione e difficoltà respiratorie, l’uomo non ce l’ha fatta. Le autorità precisano però che il rischio per la popolazione resta basso: non è stata osservata trasmissione tra persone.
Il salto di specie e le valutazioni degli esperti
Il caso rappresenta un salto di specie del virus H5N5, passato dall’animale all’uomo in circostanze specifiche. Per Gianni Rezza, professore di Igiene all’università San Raffaele di Milano, si tratta di un episodio isolato riconducibile al contatto diretto con pollame infetto. Finché non emergono trasmissioni interumane, osserva, non ci sono motivi per alzare il livello di allerta. Più prudente invece Matteo Bassetti, che avverte che l’evoluzione dei ceppi aviari “può aprire scenari da non sottovalutare” e che la comparsa di nuovi virus nell’uomo “impone di considerare il rischio di pandemia”, pur senza creare allarmismi immediati.
Il quadro globale e l’attenzione sul ceppo H7N7 individuato in Italia
Gli esperti monitorano l’evoluzione, anche alla luce dell’esperienza con il virus H5N1, che dal 2003 ha causato oltre 960 contagi confermati e 466 decessi, soprattutto nel sud-est asiatico. Negli Stati Uniti i casi sono stati 67, con un solo decesso, a cui ora si aggiunge quello provocato da H5N5, l’unico documentato al mondo. In Europa è stato registrato un solo contagio da H5N1 nel Regno Unito. La letalità elevata in alcune aree dipende anche dalla capacità di identificare tempestivamente i casi lievi, più frequente nei Paesi con sistemi sanitari avanzati.
Accanto ai ceppi più noti, viene sorvegliato anche H7N7, rilevato di recente in Italia: in passato ha causato solo episodi di congiuntivite in Olanda e nel nostro Paese, senza forme gravi, ma la sua presenza conferma che la mappa dei virus aviari rimane articolata e in continua evoluzione.

