
Una testimonianza inattesa riaccende il caso Resinovich, rimettendo al centro dell’indagine un dettaglio tanto semplice quanto potenzialmente decisivo: due sacchi neri, gli stessi che avvolgevano il corpo di Liliana Resinovich, scomparsa il 14 dicembre 2021 e ritrovata senza vita il 5 gennaio successivo nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. A parlare è Alfonso Buonocore, ex titolare di una pizzeria frequentata dalla donna e dal marito, Sebastiano Visintin, unico indagato: «Le ho dato due sacchi neri nei mesi prima che sparisse».
La nuova testimonianza: “Mi chiese di non dirlo a nessuno”
Buonocore, residente a Trieste da oltre quarant’anni, ha deciso di raccontare tutto dopo aver seguito un programma televisivo dedicato al caso. L’audio del suo colloquio con Visintin verrà ora consegnato alla Squadra mobile come elemento di possibile interesse investigativo.

Il racconto è dettagliato: «La incontrai davanti alla pizzeria mentre buttavo l’immondizia. Mi chiese se potevo venderle uno di quei sacchi neri». L’uomo ricorda di averglielo passato in fretta, perché stava arrivando il marito. Il giorno seguente la scena si sarebbe ripetuta: «Faceva freddo, l’ho fatta entrare. Le ho dato un altro sacco. Mi voleva pagare 50 centesimi, ma le ho detto che l’avrei messo in conto a Sebastiano. Lei mi ha chiesto di non parlarne con nessuno».
Buonocore specifica però un punto cruciale: non è certo che quei sacchi siano gli stessi utilizzati per avvolgere il corpo, anche se conserva ancora un lotto identico di quel materiale “spesso e robusto”, acquistato presso un’azienda del territorio.
I sacchi neri: il cuore del mistero
Le sue parole riportano l’attenzione su uno degli elementi più controversi dell’intero caso: i due sacchi neri ritrovati sul corpo di Liliana. Gli inquirenti dovranno ora valutare l’eventuale compatibilità tra i campioni in possesso dell’ex ristoratore e quelli repertati sulla scena del ritrovamento.
Buonocore spiega di essere rimasto in silenzio fino ad oggi perché un amico carabiniere gli avrebbe consigliato di «stare fuori da quella storia». Ora ha scelto di parlare «per contribuire a fare chiarezza».
Le analisi disposte dal gip e i risultati scientifici
I sacchi sono tra i reperti al centro delle nuove analisi ordinate dal gip Flavia Mangiante, che ha incaricato i periti Paolo Fattorini, Chiara Turchi ed Eva Sacchi di svolgere ulteriori accertamenti, dopo il rigetto della richiesta di archiviazione presentata dalla Procura.
Le precedenti analisi avevano evidenziato:
- tracce del Dna di Liliana ma nessuna impronta digitale, nemmeno sua
- un segno interpretato inizialmente come «impronta guantata», poi attribuito alla trama dei jeans
- una traccia biologica maschile sul cordino che univa due sacchetti leggeri posti sul capo, ma non compatibile con Visintin né con altri soggetti vicini al caso
“Il nome dell’assassino è nelle carte”
L’avvocato Nicodemo Gentile, legale del fratello di Liliana, commenta con fermezza la decisione della Cassazione sul ricorso della difesa di Visintin: «La verità e il nome dell’assassino sono già nelle carte: ora si vada fino in fondo». Il legale richiama l’attenzione su «elementi probatori chiave», come il cordino repertato e i video GoPro del 14 dicembre, sui quali «permangono dubbi per presunte alterazioni e tagli». Il caso Resinovich, dopo quasi quattro anni, è tutt’altro che chiuso. Questa nuova voce potrebbe aprire scenari inattesi.


