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«I bambini nel bosco possono tornare in famiglia. Ma i genitori devono collaborare»

Pubblicato: 25/11/2025 07:42

I bambini nel bosco potranno tornare nella loro famiglia, ma solo se i genitori dimostreranno di «avere fiducia nel processo». Lo ricorda il giudice Claudio Cottatellucci, presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia, sottolineando come il provvedimento del tribunale dei minori de L’Aquila sia ancora provvisorio e non preveda alcuna decisione definitiva sulla possibile separazione. Per il magistrato, Catherine Birmingham e Nathan Trevallion devono «collaborare», perché in gioco c’è «il diritto dei bambini alla vita di relazione e alla salute».

Secondo Cottatellucci, il provvedimento si fonda su una valutazione complessa e tutt’altro che ideologica. La misura, ribadisce, non rappresenta una sottrazione definitiva, ma una scelta temporanea finalizzata a proteggere i minori. Il giudice invita ad abbandonare una narrazione «manichea», ricordando che la magistratura minorile lavora sempre con l’obiettivo di preservare il benessere dei figli, anche quando i genitori non appaiono del tutto collaborativi.

Interno della casa in legno dove viveva la famiglia

Nell’analisi del tribunale, due sono i punti decisivi: la tutela della vita di relazione e della salute dei minori. Come spiega Cottatellucci, i giudici hanno tentato un percorso di recupero delle funzioni genitoriali, ma senza successo. Le carte, sottolinea, mostrano una scarsa collaborazione della coppia, nonostante i ripetuti tentativi di coinvolgimento e sostegno messi in campo dai servizi.

L’istruttoria durata 13 mesi conferma quanto il tribunale abbia provato ogni strada possibile prima di ricorrere a misure più incisive. Tra le prescrizioni iniziali figurava anche una valutazione neuropsichiatrica dei bambini, rifiutata dalla famiglia. Anzi, i genitori sono arrivati a chiedere 50mila euro a figlio per acconsentire alle visite, un comportamento che per il giudice ha reso inevitabile un intervento più strutturato a tutela dei piccoli.

Cottatellucci difende apertamente anche la presidente della corte de L’Aquila, Cecilia Angrisano, che ha firmato il provvedimento e oggi si trova al centro di attacchi e insinuazioni. Le accuse di “sequestro di persona”, afferma, rappresentano uno stravolgimento della realtà e alimentano un clima d’odio che mette a rischio l’intero sistema di tutela minorile. Il magistrato critica anche la «fuga dalla complessità» di certa politica e ricorda che il Csm ha già aperto una pratica a tutela dei colleghi.

Sulla strada da seguire interviene anche la parte legale: l’avvocato della famiglia ha dieci giorni per presentare appello, e secondo Cottatellucci l’obiettivo comune rimane uno solo, il benessere dei minori. Un punto condiviso anche da Barbara Rosina, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, che denuncia come questa vicenda abbia trasformato gli operatori in un facile bersaglio mediatico.

Rosina respinge la narrazione secondo cui gli assistenti sociali strappano i figli ai genitori, ricordando che ogni intervento è il risultato di una decisione collegiale che coinvolge magistrati, psicologi, educatori e psichiatri. Esistono protocolli nazionali e linee guida rigorose, e nessuna misura viene presa all’improvviso o senza una valutazione approfondita delle condizioni familiari.

Quando si parla di allontanamento, spiega Rosina, si intende l’ultima risorsa, prevista solo quando tutti i tentativi di sostegno falliscono e il rischio per la salute, la crescita o la sicurezza dei bambini diventa concreto. L’amore dei genitori non basta, sottolinea, se mancano scuola, cure sanitarie, relazioni sociali e una rete familiare che garantisca uno sviluppo equilibrato. Per questo esistono comunità madre-bambino e visite protette, pensate per preservare il legame affettivo anche in situazioni critiche.

Secondo Rosina, l’odio verso gli operatori sociali nasce anche dal fatto che sono tra i pochi professionisti a entrare nelle case per verificare la sicurezza dei minori. Questo genera paura e diffidenza e, in contesti segnati da separazioni conflittuali, violenze domestiche o dipendenze, le accuse diventano inevitabili. A complicare il quadro ci sono influencer e opinionisti che diffondono informazioni false, colpendo chi non può difendersi per via del segreto d’ufficio.

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Ultimo Aggiornamento: 25/11/2025 07:43

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