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“Mamma, ho mal di gola”. Dimesso dal medico a 11 anni, poi la tragedia feroce

Pubblicato: 25/11/2025 17:01

Ci sono momenti in cui una giornata qualunque si trasforma improvvisamente in un incubo. Quando un bambino manifesta un malessere, ogni genitore si affida all’idea che si tratti di qualcosa di passeggero, qualcosa che il tempo o una semplice cura possano risolvere. È una convinzione naturale, rassicurante, che accompagna molte famiglie nelle piccole preoccupazioni quotidiane.

Ma quando un sintomo si trasforma in un’emergenza nel giro di pochi minuti, tutto ciò che sembrava normale si spezza. Il tempo accelera, la paura prende il sopravvento e ogni gesto diventa una corsa disperata per capire cosa stia succedendo e per salvare ciò che conta di più.

La tragedia improvvisa di Frankie-Rae

Fino al pomeriggio di venerdì 14 novembreFrankie-Rae era descritto come un bambino pieno di energia e vivacità. La madre, Keleigh, 33 anni, lo aveva portato dal medico di famiglia per un mal di gola e le era stato detto che si trattava «solo un virus», nulla di preoccupante. Ma quella normalità è svanita poche ore dopo, nella loro casa di Braintree, nell’Essex.

L’11enne è entrato barcollando in salotto, ansimando. «È venuto in salotto ansimando e l’orrore assoluto sul suo volto era incredibile. Mi ha detto “Non riesco a respirare”», ricorda la madre. In due minuti è diventato silenzioso. Keleigh lo ha trovato in bagno, accasciato sul water: labbra grigie, occhi vitrei, corpo inerte. «Era in bagno, accasciato sul wc… e io lo scuotevo per farlo svegliare».

La prima a intervenire è stata la nonna, con un massaggio cardiaco durato mezz’ora. «L’ha ripreso per un paio di secondi… poi è sparito di nuovo». Alle 1:40 il bambino stava ancora scherzando. Alle 1:43 ansimava come se qualcosa gli bloccasse la gola.

I paramedici lo hanno tratto in salotto per applicare il defibrillatore, «ma hanno detto che non potevano usarlo perché non aveva alcun ritmo cardiaco». Otto operatori hanno tentato di rianimarlo. Trasferito al Broomfield Hospital di Chelmsford, i medici hanno detto che «non c’era più nulla da fare». Alle 3:30 è morto mentre la madre gli teneva la mano: «L’ho baciato mentre moriva».

Oggi la famiglia non conosce ancora la causa del collasso. «Era il mio migliore amico… Il suo sorriso illuminava una stanza», dice Keleigh, mentre la comunità lascia fiori, peluche e biglietti in sua memoria.

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