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Regionali. Vittorie, sconfitte e sogni prematuri

Pubblicato: 25/11/2025 18:03

Alla fine ha perso solo Nichi Vendola. Forse solo grazie una legge elettorale un po’ farlocca. Che gli dispiaccia è comprensibile. Come presidente della Regione Puglia fece bene. Glielo riconoscono anche gli avversari.

L’anno elettorale delle Regioni si chiude qui. Nel 2026 si voterà sono in qualche piccolo comune. L’appuntamento del 2027 con il rinnovo del Parlamento è lontano, quai due anni, anche se le opposizioni lo immaginavano vicinissimo. Forse temendo di non vederlo arrivare.

Il bilancio delle regionali

Ma veniamo alle regionali di quest’anno. Si è votato in sei regioni. Tre erano guidate dal centrodestra, tre dal centrosinistra. Le opposizioni hanno sperato di conquistare le Marche e la Calabria. È stato un doppio flop. La maggioranza sapeva che Toscana, Puglia e Campania non erano contendibili. Come non lo era il Veneto per il centrosinistra. Come era stata l’Emilia Romagna per il centrodestra. Se vogliamo tornare indietro, erano invece contendibili per il centrodestra la Sardegna e l’Umbria. La prima persa per un calcolo errato degli alleati sardisti. La seconda, per un soffio, per non aver avuto il coraggio di cambiare cavallo.
Ricandidare la Tesei – che non ha governato male – è stato un errore. Era stata candidata dalla Lega quando il partito di Salvani era al massimo dei consensi e puntava a trasformarsi da “nordista” a “nazionale”. Vinse. Ma in cinque anni quella prospettiva si è arenata. Il centrodestra avrebbe vinto candidando il sindaco uscente di Perugia – dopo due mandati – Romizi, di Forza Italia. Gli errori si pagano sempre. Ancor di più mentre i cittadini votano sempre meno. Non è positivo. Inquieta. E tutti i partiti dovrebbero rifletterci seriamente.

Restano i dati. Dopo tre anni di Meloni a Palazzo Chigi, il centrodestra governa 12 regioni e mezzo, il centro sinistra 6. Il mezzo è la provincia di Trento. Ma si sa che le due province della regione Trentino Alto Adige sono “quasi” regioni. Quella di Bolzano è governata dalla SVP votata dagli italiani di lingua tedesca. Come la Val d’Aosta è guidata dall’Union Valdôtaine. Contano, ma è un’altra storia.

Dunque? Dunque nulla è cambiato. Ne’ poteva cambiare. In Veneto Zaia ha ben governato. Il terzo mandato sognato, come da De Luca in Campania, era francamente impossibile. In una democrazia è impensabile che si possa guidare una amministrazione per tutta vita. È il mio parere, ma non solo mio.

Penso che siano troppo anche i 7 anni del Presidente della Repubblica. La Costituzione li ha previsti per garantire una solidità istituzionale, al di sopra delle parti. Al Quirinale siede una sorta di Re costituzionale “a tempo”, con poteri non proprio marginali. Nessuno, all’epoca, ha pensato che potesse durare di più. E’ accaduto, e un po’ imbarazza, con tutto il rispetto per Napolitano e Mattarella, persone ammirabili. Non è un problema personale. È che 14 anni sono veramente troppi. E se a questo siamo arrivati, in entrambi i casi, dipende dal combinato disposto di fattori prevedibili ma non previsti dai costituenti.

In origine le legislature duravano cinque anni (6 per il Senato, poi 5), e il presidente 7. Potevano cambiare le maggioranza parlamentari e/o i governi, ma il Quirinale restava per garanzia. Poi Segni, malato, si dimise. Leone fu “costretto” a dimettersi. Napolitano si dimise per stanchezza dopo un biennio del secondo mandato.

Può accadere, certo. La Costituzione prevede che il presidente del Senato ne assuma i poteri pro tempore. Le regole costituzionali sono salve. Il problema, strettamente politico, nasce con la cosiddetta Seconda Repubblica, cioè con il bipolarismo – sia pure imperfetto – nato con Berlusconi.

I partiti – mutevoli – di sinistra, compresa la componente ex democristiana, non sono disposti ad accettare che sia eletto al Quirinale un esponente delle coalizioni – anch’esse mutevoli ma ormai consolidate – di centrodestra. Il secondo mandato di Mattarella è cominciato il 29 gennaio 2022. Dunque terminerà nella stessa data del 2029. L’attuale legislatura è cominciata con le elezioni del 25 settembre 2022. Si chiuderà nella stessa data del 2027. La successiva terminerà, salvo scioglimenti anticipati, nel settembre del 2032.

Ne consegue che, se il centrodestra vincesse le prossime elezioni, avrebbe in Parlamento i voti per eleggere al Quirinale un suo esponente. Per chi da decenni ritiene che questo non debba accadere sarebbe una catastrofe. Per questo c’è un mondo politico che spera in uno scioglimento anticipato delle Camere. Accadesse, per dire, nel marzo del 2026, e si votasse a maggio, e il centrodestra vincesse, non potrebbe eleggere il successore di Mattarella.

Il confronto con i dati delle regionali di 5 anni fa. Anche questo non è tuttavia molto significativo.

Per questo, nelle cronache politiche, spesso spunta l’ipotesi di uno scioglimento anticipato delle Camere, legata a una sconfitta sul referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati. Anche se Meloni ha chiarito subito che nel caso a dimettersi non ci pensa proprio.
Un’ipotesi puntualmente è riemersa, sottovoce, con i risultati delle regionali in Veneto, Puglia e Campania. Come se lo scontato risultato del “campo largo” cambiasse qualcosa. Il che non è. In pochi ricordano che le elezioni regionali sono ben diverse da quelle parlamentari. Le leggi elettorali spingono a moltiplicare le liste delle coalizioni, che da un lato consentono di attirare elettori ulteriori rispetto a quelli dei partiti nazionali, ma da un altro lato disperdono l’elettorato, che in linea di massima, in elezioni politiche, tornano a votare le liste dei partiti nazionali. Dunque si sta parlando di aria fritta. Al massimo serve per galvanizzare i militanti.

Torniamo ai risultati, in particolare della Campania. Con tutte le sue stramberie, De Luca fu ottimo sindaco di Salerno. In dieci anni da presidente non si può dire che abbia fatto catastrofi. È popolarissimo e non ama il Pd. Anzi, nel suo territorio, lo governa e continuerà a farlo per mano del figlio. Non per caso ha scelto di sostenere Fico alla presidenza piuttosto che un esponente del Pd. Fico, con il suo 5s ridotto al 9%, sarà autonomo? Lo scopriremo strada facendo. Per ora è corretto dire che in Campania ha vinto il cacicco De Luca, non la Schlein, e men che meno Conte. Schlein festeggia, assicura che “uniti non si vince, ma si stravince”, guardando lontano. Conte le ricorda che “non vogliamo alleanze strutturali”. Vedremo. Speculari sono i risultati del Veneto. Zaia ha fatto il pieno di preferenze. Ha vinto lui? Ha vinto la Lega? Anche qui, vedremo.

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