
Il Teatro alla Scala di Milano è stato condannato dal Tribunale del Lavoro a risarcire economicamente una sua dipendente, una maschera con contratto a termine, che era stata licenziata in seguito a un clamoroso episodio avvenuto lo scorso 4 maggio. La dipendente era stata allontanata dal servizio per aver gridato “Palestina libera” prima dell’inizio di un concerto, un evento che vedeva tra i presenti la premier Giorgia Meloni in occasione della riunione della Asian Development Bank. Questa decisione giudiziaria segna un punto a favore della lavoratrice e del sindacato che l’ha supportata.
La condanna e il risarcimento
La sentenza emessa dal Tribunale del Lavoro ha stabilito che il Teatro alla Scala dovrà versare alla lavoratrice una somma pari a tutte le mensilità che intercorrono tra la data del licenziamento e la scadenza naturale del suo contratto a tempo determinato. Questo risarcimento non copre solo il danno economico subito a causa dell’interruzione anticipata del rapporto di lavoro, ma include anche il pagamento delle spese di lite sostenute dalla lavoratrice per la causa. L’azione legale è stata condotta con l’assistenza dell’avvocato Villari, come specificato in una nota della Confederazione Unitaria di Base (Cub) di Milano. Il pronunciamento del giudice rappresenta un chiaro riconoscimento del fatto che il licenziamento è stato giudicato illegittimo, trasformando di fatto l’azione della Scala in una sanzione ingiustificata.
Licenziamento politico: la tesi del sindacato confermata
La Cub, che ha fornito supporto alla lavoratrice, ha immediatamente colto l’occasione per ribadire la sua posizione originaria. Secondo quanto comunicato dal sindacato, la decisione del Tribunale del Lavoro non fa altro che confermare in modo inequivocabile la tesi sostenuta fin dall’inizio: quello subito dalla maschera è stato un “licenziamento politico”. Roberto D’Ambrosio, rappresentante del sindacato, ha chiarito che gridare “Palestina libera” non costituisce in alcun modo un reato e, di conseguenza, i lavoratori non possono essere sanzionati o penalizzati per l’espressione delle loro opinioni politiche. Il sindacato ha strenuamente difeso il principio della libertà di espressione, anche sul luogo di lavoro, quando questa non intralcia direttamente il regolare svolgimento delle mansioni. La condanna della Scala per un licenziamento motivato da un’espressione politica rafforza notevolmente questa battaglia sindacale.
La mobilitazione e gli inviti allo sciopero
A seguito della vittoria legale, la Confederazione Unitaria di Base ha voluto esprimere il proprio ringraziamento a tutti i lavoratori che si sono attivamente mobilitati per sostenere la causa della collega. Il sostegno e la solidarietà dimostrata dalla base, anche attraverso iniziative pubbliche e di protesta, sono stati considerati un elemento fondamentale per ottenere questo risultato giudiziario. Non limitandosi alla vittoria in tribunale, il sindacato ha lanciato un appello alla mobilitazione generale. In particolare, la Cub ha invitato tutti i lavoratori a partecipare allo sciopero indetto per il prossimo 28 novembre. Inoltre, l’organizzazione ha sollecitato la partecipazione alla manifestazione nazionale proPalestina in programma il 29 novembre a Milano, con il ritrovo fissato alle ore 14 in piazza XXIV Maggio. Questi inviti sottolineano l’intenzione del sindacato di mantenere alta l’attenzione sul tema della libertà di espressione e della solidarietà internazionale.
Il futuro della lavoratrice e l’appello finale
Nonostante la vittoria sul fronte del risarcimento economico, il rappresentante sindacale Roberto D’Ambrosio ha voluto lanciare un chiaro messaggio alla direzione del Teatro alla Scala riguardo il futuro della lavoratrice. Il sindacato chiede apertamente e con fermezza che il Teatro proceda al rinnovo del contratto della maschera. Questo appello non è solo una richiesta di giustizia riparativa, ma anche un monito volto a prevenire l’insorgere di ulteriori contenziosi legali. D’Ambrosio ha infatti concluso la sua dichiarazione sottolineando che il mancato rinnovo potrebbe portare a “altre cause”, suggerendo che la battaglia legale potrebbe non essere ancora conclusa. L’obiettivo finale della Cub resta la piena reintegrazione professionale della lavoratrice, oltre al riconoscimento del diritto inalienabile di ogni cittadino all’espressione delle proprie idee politiche senza temere ritorsioni lavorative.


