
L’astronomo del Papa Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, racconta in una lunga intervista a SettimanaNews come la contemplazione dell’universo influenzi il suo modo di intendere la creazione, la spiritualità e il rapporto tra fede e conoscenza. Gesuita e scienziato, Consolmagno ripercorre la sua esperienza alla guida dell’osservatorio astronomico della Santa Sede, affrontando temi che spaziano dalla vita extraterrestre al ruolo della Chiesa nel mondo scientifico contemporaneo.
Fede e scienza, due strade che portano alla verità
Per Consolmagno non esiste alcuna contraddizione tra i due piani. La fede gli offre la sicurezza per dedicarsi alla ricerca, mentre la scienza gli dà gli strumenti per comprendere più profondamente il mistero della creazione. L’universo, afferma, è degno di essere esplorato per se stesso, e la fiducia che esso segua leggi intelligibili nasce proprio dalla convinzione che sia stato creato «come atto d’amore». La scienza, al tempo stesso, gli permette di leggere testi come la Genesi per ciò che sono: opere teologiche, non manuali scientifici. E più la conoscenza del cosmo avanza, più cresce — dice — lo stupore per il Creatore.
Un Dio oltre il tempo, ma presente nell’universo
Interrogato su come concepisca Dio rispetto all’universo, Consolmagno ricorda che nella tradizione cristiana Dio è al di là dello spazio e del tempo, ma allo stesso tempo è pienamente presente nella creazione. La scelta divina di incarnarsi in un preciso luogo e momento della storia, sottolinea, mostra un coinvolgimento intimo nella vita del cosmo, una presenza che continua nella celebrazione dell’Eucaristia.
Sul tema della vita extraterrestre, Consolmagno mantiene un approccio rigoroso: semplicemente, non sappiamo. Le variabili necessarie per stimare la probabilità di civiltà aliene — ricorda citando la celebre equazione di Drake — sono quasi tutte ignote. L’universo potrebbe pullulare di vita oppure essere quasi vuoto.
In ogni caso, nulla nella fede cristiana esclude la possibilità di altre creature in rapporto con Dio. Dalla tradizione degli angeli ai riferimenti poetici delle Scritture, osserva, emerge chiaramente che l’essere umano non è pensato come l’unico protagonista dell’universo.
Angeli e demoni come immagini per descrivere il reale
Consolmagno interpreta le figure angeliche e demoniache come metafore utili a descrivere esperienze interiori — tentazioni, paure, impulsi positivi — che non trovano un linguaggio diretto. L’uso di immagini semplici e simboliche, osserva, è frequente anche nella divulgazione scientifica: quando insegna cos’è un elettrone, ad esempio, ricorre a rappresentazioni intuitive per facilitare la comprensione di fenomeni complessi.
Perché esiste ancora la Specola Vaticana
La presenza della Chiesa nell’astronomia affonda le radici nel passato e rimane, secondo Consolmagno, più che attuale. La Specola Vaticana, nella sua forma moderna, nacque nel 1891 per mostrare che la Chiesa non è nemica della scienza, in un’epoca segnata dal crescente successo dell’eugenetica.
Ma il legame con l’astronomia è molto più antico: gli astronomi furono fondamentali nella riforma del calendario gregoriano del 1582 e, nel Medioevo, la cosmologia era una delle discipline centrali del quadrivium. Studiare il cosmo, ricorda Consolmagno, non serviva solo per la navigazione o la misurazione del tempo, ma soprattutto per conoscere meglio il Creatore attraverso le opere della creazione.
Una comunità scientifica integrata nel mondo accademico
Gli scienziati della Specola — una dozzina di gesuiti provenienti da vari continenti — lavorano negli stessi ambienti accademici dei colleghi, pubblicano sulle stesse riviste, partecipano alle stesse organizzazioni e collaborano con enti come Nasa ed Esa. Il Vaticano è membro dell’Unione Astronomica Internazionale al pari degli altri Paesi del mondo.
Questa presenza, spiega Consolmagno, non solo smentisce il mito del conflitto tra Chiesa e scienza, ma contribuisce a formare nuove generazioni di astronomi gesuiti. Diversi giovani in formazione hanno già collaborato con l’osservatorio e potrebbero in futuro entrarne a far parte o insegnare nelle università dell’ordine.
Il futuro della ricerca e il valore della meraviglia
Per Consolmagno, il senso ultimo dell’astronomia resta immutato nei secoli: conoscere la creazione di Dio è un modo per avvicinarsi a Lui. Al di là delle applicazioni pratiche, ciò che spinge la ricerca è la meraviglia davanti a un universo che continua a sorprendere. Un universo in cui, aggiunge con un sorriso, potrebbe esserci spazio anche per altre forme di vita — e forse, per nuovi modi di cantare la gloria del Creatore.


