
È morto nel pomeriggio di oggi, 27 novembre, a 80 anni, Maurizio Fercioni, scenografo e tra i fondatori del Teatro Franco Parenti, considerato un pioniere del tatuaggio in Italia. Stroncato da un male incurabile, seguito alle complicazioni di una frattura del femore di qualche tempo fa, se n’è andato nella sua Milano, la città dove aveva costruito una doppia carriera: quella sui palchi, fra scene e costumi teatrali, e quella sulla pelle, con aghi e inchiostro.
Per il mondo dei tattoo Fercioni era il primo tatuatore d’Italia: iniziò a tatuare nel 1967 e nel 1974 aprì in zona Brera uno dei primissimi studi professionali di tatuaggi del Paese, destinato a diventare il celebre Queequeg Tattoo Studio & Museo, punto di riferimento per generazioni di appassionati e curiosi. In un’epoca in cui il tatuaggio era ancora stigmatizzato, lui lo trasformò in linguaggio artistico e in segno identitario.

Il padre del tatuaggio italiano
La sua passione per il tatuaggio era nata nei porti e nell’ambiente marinaro, affascinato dalle storie di marinai e dalle pagine di Melville: non a caso il nome Queequeg richiamava il personaggio di “Moby Dick”. Nel suo studio-museo custodiva strumenti, tavole e libri che raccontavano la storia del tatuaggio ben prima che diventasse moda di massa, mentre nella piccola bottega di Brera sono passati negli anni artisti, sportivi e volti dello spettacolo, contribuendo a sdoganare quest’arte in Italia.
Parallelamente, Fercioni ha lasciato un segno profondo anche nel teatro: diplomato a Brera, è stato scenografo e costumista per teatri come la Scala, il Piccolo Teatro e lo stesso Teatro Franco Parenti, firmando allestimenti per registi come Gabriele Salvatores e lavorando su produzioni importanti in Italia e all’estero. Nel 1972 fu tra i creatori del Salone Pierlombardo, insieme a Andrée Ruth Shammah, Franco Parenti, Giovanni Testori e Isella, nucleo originario di uno dei centri culturali più vivaci della città.

Il ricordo di Andrée Ruth Shammah
A ricordarlo, nelle ore successive alla notizia della morte, è stata soprattutto Andrée Ruth Shammah, che sui social ha affidato il suo dolore a parole semplici e laceranti: “Questa è veramente una parte di me che se ne va. Una parte che resisteva. E se ne va di nuovo Iazzetti, Gianni Valle… ma io ci sono e devo avere la forza di trasformare questo dolore grande”. Un addio che racconta il legame umano e professionale costruito in decenni di palcoscenici condivisi e la sensazione che con lui se ne vada un pezzo di storia del teatro milanese.
Con la scomparsa di Maurizio Fercioni se ne va anche una parte importante della storia culturale di Milano: l’artista che ha saputo portare il tatuaggio dalle banchine dei porti ai musei, e che al tempo stesso ha dato forma visiva a spettacoli e opere memorabili. Il suo Queequeg Tattoo Studio & Museo, negli ultimi anni minacciato di sfratto, era diventato un luogo di pellegrinaggio per chi considerava il tatuaggio non solo ornamento ma memoria, racconto, identità incisa sulla pelle, destinata a restare.


