
«La situazione in Ucraina è un casino». Con queste parole, il presidente Donald Trump ha commentato ieri, durante la riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca, l’evoluzione della crisi mentre a Mosca era in corso l’incontro tra l’inviato speciale Steve Witkoff, Jared Kushner e Vladimir Putin. Sul tavolo il nuovo piano di pace in 19 punti, rivisto dagli Stati Uniti per risultare meno sbilanciato verso Mosca rispetto alla precedente versione da 28 punti presentata a Ginevra.
Washington punta alla fine della guerra in Ucraina, ma un accordo che costringa Kiev a concessioni troppo pesanti rischia di trasformarsi in una resa mascherata. Trump lo sa, ma finora non ha mostrato la volontà di esercitare una vera pressione su Putin affinché accetti un negoziato equo. Il Cremlino, percependo questa debolezza, continua a dettare condizioni dure, avvertendo che ciò che non otterrà al tavolo lo prenderà con la forza militare.

Il viaggio di Witkoff a Mosca è stato appesantito dalle rivelazioni sulla telefonata con il consigliere del Cremlino Yuri Ushakov, in cui l’inviato americano suggeriva strategie per conquistare il favore di Trump. Una fuga di notizie che ha compromesso la sua credibilità di mediatore, alimentando i sospetti di un’amministrazione più incline a compiacere la Russia che a sostenere l’Ucraina.
Il precedente piano in 28 punti, infatti, era stato scritto quasi “sotto dettatura” dell’inviato speciale di Putin, Kirill Dmitriev, presente anche al tavolo di Mosca. Dopo la bocciatura da parte di Zelensky e dei partner europei, il documento è stato rivisto a Ginevra con il segretario di Stato Marco Rubio, riducendolo a 19 punti ma lasciando irrisolte varie questioni cruciali.
Nel fine settimana, Rubio, Witkoff e Kushner hanno incontrato a Miami il consigliere per la sicurezza ucraino Rustem Umerov, cercando un compromesso sui nuovi confini de facto che Kiev dovrebbe accettare. Lo stesso Rubio ha ammesso che «c’è ancora lavoro da fare», confermando che la bozza portata a Mosca non rappresenta ancora una proposta definitiva.

Almeno quattro restano le questioni centrali: la definizione dei territori che l’Ucraina dovrebbe abbandonare senza cessione formale; la dimensione delle forze armate ucraine, scese da 600.000 a 800.000 nella nuova bozza; le garanzie di sicurezza richieste da Kiev nel caso in cui resti fuori dalla NATO; e lo status futuro del percorso di adesione all’Alleanza. Ma soprattutto resta un ostacolo politico: Putin non sembra disposto a considerare alcuna concessione, convinto di essere in vantaggio tra progressi militari lenti ma costanti e lo scandalo corruzione esploso a Kiev.
Intervenendo durante l’incontro del gabinetto, Trump ha ricordato i suoi presunti successi diplomatici: «Ho risolto otto guerre. Questa sarebbe la nona», ha dichiarato. Ha poi aggiunto che le delegazioni americane sono in Russia per verificare se un’intesa sia possibile, definendo la situazione «davvero complessa» e parlando di «25.000-30.000 vite salvabili ogni mese» con un accordo.
Dopo il fallimento del vertice di Anchorage, Trump aveva dato segnali di frustrazione verso Putin. Aveva preso in considerazione la fornitura di missili Tomahawk a Kiev, poi aveva aperto alla possibilità di un nuovo incontro a Budapest con il leader russo, imponendo infine sanzioni al settore petrolifero russo. Nessuna di queste mosse, tuttavia, ha inciso realmente sull’equilibrio del conflitto.
Ora la partita torna nelle mani di Witkoff, atteso oggi da Volodymyr Zelensky per riferire l’esito del confronto con Putin e comprendere se il nuovo piano di pace possa avere una possibilità concreta. Un margine che, allo stato attuale, appare ancora estremamente fragile.


