
Il ministro della Difesa torna sulle parole dell’ammiraglio Cavo Dragone e, invece di alimentare la solita rincorsa allo scandalo, riporta la discussione nel suo perimetro naturale: quello della sicurezza e delle minacce ibride, lontano dalle distorsioni di chi grida all’allarme o alla propaganda. È un passaggio che, nel rumore costante della politica italiana, restituisce un tono razionale al dibattito sulla Nato e sul ruolo dell’Italia nella difesa comune. In un momento in cui ogni dichiarazione viene trasformata in una battaglia di tifo, Guido Crosetto sceglie un’altra strada e mantiene la barra dritta: capire il contesto, spiegare i rischi, evitare la spettacolarizzazione del pericolo. Un approccio che, nel discorso pubblico odierno, sembra quasi un’eresia.
Crosetto e la grammatica delle minacce ibride
Secondo Crosetto, Cavo Dragone non parlava di scenari di guerra tradizionale, ma di minacce ibride che colpiscono ogni giorno: sabotaggi informatici, attacchi ai sistemi satellitari, aggressioni digitali capaci di bloccare comunicazioni, pensioni, servizi essenziali. Ed è qui che il ministro smonta l’interpretazione emotiva che si è diffusa nelle ultime ore. Prepararsi non significa agitare lo spettro del conflitto, ma evitare che un blackout digitale paralizzi il Paese. È un punto quasi banale per chi conosce i dossier della Difesa, ma spesso lontano dal linguaggio politico-mediatico, che tende a scegliere l’allarme facile invece della complessità.
Crosetto ribadisce un concetto che in Italia raramente trova spazio: la Nato non ha mai attaccato un Paese per dominare, mentre la Russia, ricorda, “nell’ultimo secolo ha cercato di invadere 19 nazioni”. Una frase che non va letta come provocazione ma come dato storico-politico, utile a rimettere in ordine il quadro. Se c’è un soggetto che agisce in modo espansivo, non è l’Alleanza Atlantica. E se c’è un attore che parla e agisce attraverso la forza, è Mosca.

La lucidità del ministro e il caos attorno
L’approccio di Crosetto ha un tratto che lo distingue nettamente dal resto della politica italiana: rifiuta l’alternativa tossica tra minimizzare e gridare al disastro. Non nega i rischi, non enfatizza i pericoli, non usa la difesa come arma polemica contro l’opposizione. Soprattutto, non si arrende alla tentazione — diffusissima — di trasformare ogni tema internazionale in un atto d’accusa verso “gli altri”, chiunque siano. In un sistema che vive di oscillazioni continue tra allarmismo e superficialità, il ministro mantiene il piano verticale, istituzionale, tecnicamente informato.
E proprio questa postura, oggi, diventa politica: spiegare che la sicurezza non è una categoria emotiva ma un’infrastruttura concettuale. Ricordare che l’Italia non deve temere ciò che non c’è, ma prepararsi a ciò che esiste. E che non tutto ciò che riguarda la Nato è un preludio alla guerra: spesso è soltanto amministrazione del rischio, gestione di scenari, manutenzione della democrazia digitale.
La partita della difesa, in fondo, si gioca anche in questo: sottrarre il tema all’urlo e riportarlo nel campo della razionalità. Crosetto lo fa, con una calma che oggi sembra quasi un atto di coraggio.


