
La vicenda che si sta consumando nel nostro paese getta una luce cruda e complessa sulle dinamiche della giustizia minorile, sulle decisioni dei servizi sociali e sul dolore incommensurabile di una madre a cui è stata sottratta la figlia di otto anni. Il racconto della donna, intriso di angoscia e frustrazione, è quello di una battaglia legale e personale iniziata nel tentativo di proteggere la bambina, ma che si è paradossalmente conclusa con l’allontanamento della minore dalla genitrice.
La madre afferma di non vedere sua figlia, se non in videochiamate, dall’11 febbraio 2025, giorno in cui la bambina è stata prelevata direttamente da scuola e collocata in una comunità. Questa drastica misura, secondo quanto riportato, sarebbe stata adottata in nome della “tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”, un principio fondamentale che, in questo caso, sembra aver prodotto un esito tragicamente opposto alla serenità. La madre, inizialmente colpita da una sospensione della potestà genitoriale – poi revocata dalla Cassazione – sottolinea la contraddizione e il rischio insiti in tali decisioni, citando il drammatico precedente in cui gli stessi servizi sociali avevano concesso incontri non supervisionati alla madre di Giovanni Trame, che poi ha ucciso il figlio.
L’origine della denuncia e le motivazioni materne
Il nodo centrale della controversia risiede in una denuncia per presunti atti sessuali con minore che la madre ha sporto contro l’ex compagno, padre della bambina. La genitrice racconta di essersi rivolta alle autorità dopo che la figlia avrebbe trovato il coraggio di confessarle un “qualcosa di terribile” subito dal padre, un momento descritto come emotivamente devastante in cui la bambina era in ginocchio e chiedeva scusa. Da questo atto di confidenza e dalla profonda preoccupazione materna è partita l’azione legale. Tuttavia, il procedimento penale si è concluso con un’archiviazione nel 2024, motivata dall’“incapacità della bambina di rendere testimonianza”. Il Giudice per le Indagini Preliminari (Gip), nel suo provvedimento, ha evidenziato la notevole difficoltà di gestire i processi per violenza sessuale, specialmente quelli che coinvolgono minori e che si svolgono in ambito familiare, definendoli “autentiche sciagure di Dio” e sottolineando come l’età precoce della presunta vittima renda la situazione un “autentico ginepraio”.
Un passato di paura e un presente di accuse
La madre non nasconde la complessità della storia familiare, rivelando che la bambina sarebbe stata concepita a seguito di un rapporto non consensuale. Nonostante le minacce dell’ex compagno, la donna ha scelto di portare avanti la gravidanza e, al momento della nascita della figlia, le ha fatto la solenne promessa di proteggerla sempre. Questa promessa è diventata il motore delle sue azioni future. Quando ha cominciato a temere per l’incolumità della figlia, ha lasciato il padre della bambina e si è risposata, avendo altri figli. La decisione di non denunciare gli abusi precedentemente subiti dal genitore deriverebbe da una “paura matta di non essere creduta” e dal timore che l’ex compagno potesse attuare la sua minaccia di portarle via la figlia. Oggi, la donna ritiene che le sue paure fossero ben fondate, sentendosi non creduta né lei né la bambina e temendo che alla figlia stiano “insegnando che deve stare zitta”.
Le contestazioni dei servizi sociali e l’intervento della cassazione
L’allontanamento della bambina dalla madre è stato innescato da una serie di accuse mosse dai servizi sociali che riguardano principalmente due aspetti: un presunto eccesso di visite ginecologiche e la screditazione della figura paterna. La donna è stata contestata per aver portato la figlia una decina di volte al pronto soccorso per esami ginecologici, atti giudicati “eccessivi”. Inoltre, i servizi sociali sostengono che la madre abbia attivamente ostacolato il rapporto padre-figlia, screditando la figura paterna e spingendo la bambina a rifiutare gli incontri con lui.
Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta nella vicenda. L’11 luglio 2024, la Cassazione ha annullato il decreto della Corte d’Appello di Trieste che aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore al padre. La motivazione della Cassazione è di fondamentale importanza. Ha stabilito che, anche nel caso in cui venga accertata una violazione del diritto alla bigenitorialità da parte di un genitore, è sempre necessario che i rimedi adottati siano volti a “salvaguardare l’esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio”. I giudici hanno specificato che un “brusco allontanamento” dal genitore con cui il figlio ha sempre vissuto e la “lacerazione delle consuetudini di vita” devono essere evitati per non arrecare un danno irreversibile alla minore. Nonostante questa sentenza, l’allontanamento e la collocazione in comunità sono avvenuti.
Il legame spezzato: lettere e videochiamate come unico contatto
La conseguenza più dolorosa della situazione è la drastica riduzione dei contatti tra madre e figlia. La donna ha potuto sentire la bambina per l’ultima volta in una videochiamata di mezz’ora risalente al 30 settembre. Questa distanza forzata è mitigata solo dal ricordo e da qualche raro contatto. Due mesi fa, la figlia ha scritto alla madre una lettera commovente, un messaggio che testimonia un legame affettivo indissolubile nonostante le barriere imposte: “Mami sarai dentro il mio cuore per sempre. Saremo vicine anche quando siamo lontani. Uguale per la mia famiglia, però senza la parte di mio papà”. Queste parole, intrise di affetto e consapevolezza, rappresentano il grido silenzioso di una bambina intrappolata in un conflitto giudiziario che, in nome della sua tutela, la sta separando con forza dalla figura di riferimento principale e dalle sue abitudini di vita. La storia di Trieste si inserisce in un quadro più ampio di casi complessi in cui le decisioni della giustizia minorile, pur animate da intenti protettivi, finiscono per generare ulteriori sofferenze e interrogativi sulla vera natura del benessere del minore.


