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Sadjide uccisa a botte dal marito, la scoperta sul loro passato: “Lei doveva seguire un corto antiviolenza ma non c’era posto

Pubblicato: 04/12/2025 07:55

Il tragico femminicidio di Sadjide Muslija, un’operaia di origine macedone che avrebbe compiuto 50 anni il 12 dicembre, ha scosso profondamente la comunità di Pianello Vallesina di Monte Roberto, in provincia di Ancona. La donna è stata trovata morta nel suo letto, con evidenti segni di percosse che ne avevano trasfigurato il volto. La segnalazione è partita dal titolare della fabbrica dove Sadjide lavorava, preoccupato per la sua mancata presentazione al lavoro.

Le indagini si sono immediatamente concentrate su Nazif Muslija, il marito della vittima, ora ricercato dalle forze dell’ordine. L’uomo è il principale sospettato e risulta irreperibile proprio nelle stesse ore in cui è stato scoperto il corpo della moglie, essendosi presumibilmente allontanato a bordo di una Smart. I carabinieri sono mobilitati per rintracciarlo e fare luce sull’accaduto, un dramma che riporta in primo piano la piaga della violenza domestica.

La storia di una violenza pregressa

La storia della coppia era nota alle forze dell’ordine e alla giustizia, caratterizzata da un’escalation di maltrattamenti da parte di Nazif Muslija nei confronti della moglie. L’uomo era stato già arrestato in passato proprio per maltrattamenti, in seguito a gravi episodi che includevano una violenta aggressione in cui l’aveva minacciata di morte brandendo un’ascia. Nel luglio precedente, Nazif aveva patteggiato una pena di un anno e dieci mesi. Nonostante questo pesante passato di violenze e il procedimento penale a suo carico, Sadjide aveva scelto di riaccogliere il marito in casa, un gesto che, purtroppo, non è bastato a salvarle la vita. Questo ciclo di violenza e perdono è un elemento ricorrente nelle storie di femminicidio e sottolinea la fragilità e la complessità delle dinamiche interne alle relazioni violente.

L’ostacolo del corso per uomini maltrattanti

Un dettaglio particolarmente doloroso e critico emerso dalle indagini riguarda l’inosservanza di una delle condizioni poste al patteggiamento di Nazif: la frequenza obbligatoria di un percorso rieducativo per uomini maltrattanti, della durata di un anno. L’avvocato dell’uomo, Antonio Gagliardi, ha spiegato all’ANSA che il percorso non era potuto iniziare a causa di mancanza di posti presso l’associazione Polo9, indicata dal tribunale. In attesa che si liberasse un posto, l’uomo aveva iniziato un percorso alternativo con uno psicologo, frequentandolo per “due-tre volte”. Tuttavia, il percorso stabilito dal tribunale, essenziale per la rieducazione e la prevenzione di ulteriori violenze, avrebbe dovuto iniziare solo nella prossima primavera, ovvero ad aprile o maggio 2026. Questa data, a più di un anno di distanza dagli ultimi fatti di maltrattamento, è stata oggetto di preoccupazione da parte del legale, che aveva sollecitato gli uffici tramite email, evidenziando il rischio che un lasso di tempo così lungo potesse vanificare l’efficacia del percorso riabilitativo. La mancanza di immediatezza e disponibilità di tali risorse emerse in questo caso solleva gravi interrogativi sull’efficacia del sistema di protezione e rieducazione per prevenire la recidiva dei violenti.

Il dolore della comunità e le parole del sindaco

La tragedia ha lasciato un segno indelebile sulla comunità locale. Il sindaco di Monte Roberto, Lorenzo Focante, ha espresso un dolore profondo e unanime, parlando di una tragedia che “lascia senza fiato e senza parole”. Con un discorso toccante, ha sottolineato come la perdita non sia solo quella di una concittadina, ma di “una donna, una madre, una persona che aveva diritto alla serenità, al rispetto, alla vita“. Le sue parole hanno posto l’accento sulla responsabilità collettiva e sulla necessità di un rifiuto assoluto di ogni forma di violenza, specialmente quella che si consuma tra le mura domestiche, luogo in cui ogni donna dovrebbe sentirsi al sicuro. Il dolore espresso dal sindaco Focante riflette la coscienza ferita di una società che non riesce ancora a debellare il fenomeno della violenza di genere.

La ricerca del marito e il silenzio del figlio

Mentre le forze dell’ordine continuano la caccia all’uomo per rintracciare Nazif Muslija, presumibilmente in fuga con la Smart, emerge la reazione sconvolgente del figlio 27enne della coppia, che vive all’estero. Informato della tragedia dall’avvocato del padre, il giovane avrebbe pronunciato la frase amara: “Me lo aspettavo“. Questa dichiarazione agghiacciante testimonia la lunga e dolorosa storia di violenza vissuta all’interno di quella casa, una violenza che era diventata un’ombra incombente e che, purtroppo, ha avuto l’epilogo più tragico. Il femminicidio di Sadjide Muslija, uccisa a botte, è un crudo monito sulla necessità di rafforzare le misure di protezione per le vittime e di accelerare i percorsi rieducativi per gli aggressori, eliminando ogni fallacità burocratica che possa costare, come in questo caso, una vita umana.

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