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Putin minaccia l’Europa, la Nato risponde a muso duro: “Pronti a tutto”. Pressione anche sull’Italia

Pubblicato: 04/12/2025 08:06

L’Alleanza Atlantica sta vivendo un momento di profonda tensione riguardo al futuro sostegno all’Ucraina, un dibattito dominato da due figure centrali: il Segretario Generale della Nato Mark Rutte e l’ex (e potenziale futuro) Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il recente vertice dei ministri degli Esteri ha messo in luce una crescente impazienza verso quegli alleati che non contribuiscono in modo equo agli oneri finanziari per l’acquisto di armi destinate a Kiev, con l’Italia che si trova in una posizione sempre più scomoda sulla mappa geopolitica degli aiuti. Rutte, con abilità diplomatica e una chiara strategia, ha cercato di bilanciare il sostegno agli sforzi americani per una potenziale pace con la necessità di mantenere una solida risposta alla Russia di Vladimir Putin.

L’elogio di Trump e l’ultimatum sulla fornitura di armi

Mark Rutte ha iniziato la sua analisi post-vertice con quello che è ormai diventato un punto fisso del suo discorso: un esplicito elogio di Donald Trump. Secondo Rutte, solo la leadership dell’ex presidente americano avrebbe potuto sbloccare lo stallo attualmente in corso sul processo di pace tra Russia e Ucraina. Tuttavia, a questo riconoscimento politico, il Segretario Generale della Nato ha immediatamente affiancato un chiaro avvertimento: in assenza di risultati concreti dal negoziato, è assolutamente essenziale che le forniture di armi all’Ucraina non subiscano interruzioni e che il regime di sanzioni economiche imposte a Mosca continui a produrre effetti tangibili. Questo doppio binario riflette la complessa dinamica all’interno dell’Alleanza, dove la prospettiva di un’amministrazione Trump spinge i partner europei a rafforzare la propria autonomia di difesa, pur riconoscendo l’influenza cruciale di Washington. L’assenza notata del Segretario di Stato americano Marco Rubio al vertice, sostituito dal suo vice Christopher Landau, ha ulteriormente alimentato i malumori tra i ministri europei, lasciando a Rutte il compito di rappresentare la fermezza dell’Alleanza.

La risposta netta a Putin e l’analisi sul campo di battaglia

Di fronte alle recenti, bellicose dichiarazioni di Vladimir Putin, che aveva sibilato la sua disponibilità a una guerra immediata con l’Europa, Rutte ha fornito una risposta misurata ma ferma. Rifiutando di commentare ogni parola del leader russo, ha ridimensionato l’immagine marziale di Putin, descrivendolo in divisa ma ben lontano dal fronte. Il messaggio politico di Rutte è stato inequivocabile: “Non andremo da nessuna parte, siamo qui per restare”. Ha riaffermato l’impegno totale della Nato a proteggere la propria popolazione e ad assicurare che l’Ucraina riceva tutto il necessario per il suo futuro. A sostegno di questa posizione, Rutte ha citato un dato significativo: l’atteggiamento dell’Alleanza sta esercitando una forte pressione sui russi, che starebbero perdendo circa 20 mila soldati al mese nel conflitto. Nonostante questa valutazione, l’articolo riconosce che anche gli ucraini si trovano in una seria difficoltà, con il presidente Volodymyr Zelensky che richiede con urgenza armi per consolidare la resistenza e superare la difficile stagione invernale, visto che i colloqui con Mosca rimangono bloccati.

Il fondo “Purl” e la resistenza dell’Italia

La questione della fornitura di armi ha rappresentato il passaggio più cruciale del confronto tra i ministri. La politica di Donald Trump di trasformare il sostegno all’Ucraina in un grande affare per l’industria bellica americana, basata sul principio del “non regaliamo più niente”, ha portato alla creazione del Purl (Prioritised Ukraine Requirements List) nel luglio precedente, su iniziativa di Rutte e in accordo con la Casa Bianca. Il Purl è un fondo finanziato dai membri della Nato il cui unico scopo è acquistare ordigni made in Usa da trasferire all’Ucraina. Finora, 16 Paesi hanno aderito, versando un totale di 4 miliardi di dollari, con l’obiettivo di raggiungere i 5 miliardi entro la fine dell’anno e di stanziare altri 12 miliardi nel 2026. Rutte ha sottolineato che solo “una manciata di Paesi” non ha ancora partecipato attivamente, e tra questi figura l’Italia.

Inizialmente, il Governo italiano guidato da Giorgia Meloni aveva promesso un contributo di circa 140 milioni di dollari al fondo Purl, ma l’operazione si è successivamente bloccata. Il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha giustificato questa cautela a Bruxelles, definendo “prematuro” discutere dell’adesione al Purl. Tajani ha evidenziato come l’Italia abbia già autorizzato il dodicesimo pacchetto di aiuti militari e ha espresso la speranza che le esigenze di armi possano diminuire nei prossimi mesi, auspicando l’arrivo di un cessate il fuoco. Tuttavia, questa linea di ragionamento non convince gli alleati. La differenza sostanziale, secondo i partner, è che attingere agli arsenali nazionali per i pacchetti di aiuti è un conto, mentre mettere a disposizione liquidità per l’acquisto di sistemi d’arma più sofisticati, come i missili Patriot, rappresenta un impegno di natura strategica completamente diversa. L’insofferenza tra gli alleati sta crescendo, come ammesso dallo stesso Rutte, il quale ha espresso comprensione per Paesi come i Paesi Bassi, il Canada e la Germania che sentono la necessità di “distribuire equamente gli oneri”.

La mappa dei contributi e gli alleati riluttanti

L’Italia si ritrova isolata in una posizione sempre più critica a causa del suo mancato contributo. I Paesi Bassi e il Canada hanno già stanziato 500 milioni di dollari ciascuno. La Germania ha raggiunto i 750 milioni, includendo un nuovo pacchetto da 250 milioni annunciato proprio in questi giorni. I Paesi nordici, come Danimarca, Svezia e Finlandia, hanno unito le loro forze per un contributo complessivo di oltre 300 milioni di dollari, mentre la Norvegia ha aggiunto altri 500 milioni. Nel panorama degli alleati che non hanno aderito, rimangono il Regno Unito, che preferisce rifornire l’Ucraina direttamente, e la Francia, che si oppone per principio a dirottare risorse finanziarie europee verso l’industria americana. Di recente, però, anche Paesi che erano stati a lungo riluttanti, come la Spagna e il Belgio, hanno promesso 100 milioni di dollari a testa, e il Portogallo 50 milioni. Questo rende la posizione dell’Italia sempre più evidente e difficile da sostenere, nonostante gli sforzi diplomatici.

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