
Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, il governo ucraino è travolto da uno dei più gravi scandali di corruzione della sua storia recente. Un caso che non solo scuote i vertici istituzionali, ma solleva interrogativi pesantissimi sul ruolo e sulle responsabilità politiche del presidente Volodymyr Zelensky, leader di un apparato che sta affrontando accuse sempre più difficili da gestire. La vicenda ha messo in luce un sistema di relazioni interne e dinamiche di potere che, già fragili, hanno iniziato a incrinarsi in modo evidente.
Le ricostruzioni pubblicate dal quotidiano mostrano un contesto in cui spostamenti, sostituzioni e riorganizzazioni dei ministeri non sembrano più scelte amministrative, ma mosse difensive, spesso legate all’emergere di indagini già in corso. Proprio questo intreccio — ricollocamenti pilotati, indagini parallele e interventi diretti del presidente — alimenta dubbi crescenti sulla gestione politica delle inchieste e sui tentativi di contenere i danni all’immagine dell’esecutivo.
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Cinque membri del governo travolti dallo scandalo
Al centro della tempesta ci sono cinque tra ministri e viceministri coinvolti nel meccanismo di presunte tangenti da 100 milioni di dollari. Tutti erano stati protagonisti del grande rimpasto deciso da Zelensky a luglio, proprio mentre le indagini della Nabu e della Sapo stavano già toccando almeno uno di loro.
I dicasteri più colpiti dallo scandalo sono quelli di Energia e Difesa, entrambi riorganizzati in modo radicale. Tra gli indagati compaiono figure di primo piano: Herman Haluschenko, ministro della Giustizia, e Svitlana Hrynchuk, fino al 12 novembre responsabile dell’Energia. Accanto a loro ci sono l’ex ministro dell’Unità nazionale Oleksiy Chernyshov, l’ex ministro della Difesa Rustem Umerov e l’ex viceministro dell’Energia Yuriy Sheyk, arrestato in un filone parallelo condotto dalla Procura di Kiev.

I passaggi decisivi del rimpasto
La cronologia degli eventi rende ancora più intensi i sospetti sul presidente. Il 23 giugno Nabu ufficializza l’indagine su Chernyshov per un presunto sconto irregolare di 297mila euro su un immobile. Zelensky interviene personalmente, assicurando pubblicamente che il ministro non è fuggito dal Paese e che sarebbe tornato per chiarire la propria posizione. Effettivamente Chernyshov rientra, ma il 17 luglio viene rimosso da tutte le cariche e il suo ministero viene addirittura abolito.
Lo stesso giorno Halushchenko viene spostato alla Giustizia e la sua vice Hrynchuk assume la guida dell’Energia. Anche il ministero della Difesa viene smontato e ricomposto: Umerov viene trasferito a un altro incarico strategico e il suo dicastero fuso con quello delle Industrie strategiche. Pochi giorni dopo, il 21 luglio, anche Sheyk viene sollevato dal ruolo di viceministro dell’Energia.
Le accuse e il legame con le scelte di Zelensky
Oggi tutti i protagonisti di quel rimpasto risultano coinvolti nel più grande scandalo di corruzione del Paese. Chernyshov è accusato di aver ricevuto 1,2 milioni di dollari in tangenti. Haluschenko sarebbe parte del gruppo responsabile delle presunte mazzette da 100 milioni. Hrynchuk, secondo gli inquirenti, avrebbe permesso all’ex ministro di mantenere controllo e influenza sul settore energetico. Umerov, intercettato mentre discuteva di un appalto con Timur Mindich, considerato capo dell’organizzazione, non è formalmente indagato ma resta una figura chiave. Sheyk, infine, è accusato di aver gonfiato il costo di un contratto assicurativo nel settore nucleare.
Il fatto che tutti i coinvolti fossero stati redistribuiti o “spostati” da Zelensky e Yermak nel giro di poche settimane solleva dubbi sulla reale natura di quel rimpasto. Le coincidenze temporali, sottolineate da Il Fatto Quotidiano, alimentano l’idea che il presidente potesse essere consapevole di alcune criticità interne e che abbia tentato di ricalibrare gli equilibri prima che la situazione esplodesse pubblicamente.

Le pressioni sugli organi anticorruzione
Nello stesso periodo emergono episodi che aggravano ulteriormente i sospetti attorno al presidente. Il 21 luglio, il Procuratore generale Ruslan Kravchenko, considerato molto vicino a Zelensky, invia polizia e servizi segreti negli uffici di Nabu e Sapo, impegnati nelle indagini su Chernyshov e su Olha Stefanishyna, anche lei al centro di un’indagine per abuso d’ufficio.
Il 22 luglio il Parlamento, con una maggioranza composta in larga parte dal partito del presidente, approva una legge che avrebbe sottoposto Nabu e Sapo al controllo diretto del Procuratore generale — e quindi, indirettamente, dello stesso Zelensky. Come ricostruito da Il Fatto Quotidiano, la decisione provoca le prime proteste di massa dall’inizio della guerra e un durissimo richiamo dell’Unione europea, che minaccia di bloccare finanziamenti vitali per il Paese.
Solo allora Zelensky ritira la legge, ma il suo iniziale sostegno al provvedimento rimane uno degli elementi più controversi dell’intera vicenda, alimentando ulteriormente i sospetti sulla volontà di limitare l’autonomia degli investigatori che stavano colpendo i vertici del suo governo.


