
Nel suo intervento al podcast “Diario di cittadinanza. Voci, storie e numeri delle disuguaglianze italiane”, prodotto da Svimez e curato da Stefano Di Traglia, Antonio Fraschilla e Patty Torchia, Roberto Saviano consegna una riflessione amara e lucidissima sul prezzo dell’esporsi pubblicamente contro i poteri criminali. Una testimonianza che mescola confessione personale e analisi culturale del Sud, rivolta a chi oggi decide di denunciare ingiustizie e violenze.
“Non fatelo mai: proteggersi non è codardia”
Lo scrittore non usa giri di parole per descrivere il costo psicologico della sua scelta di denuncia. «So di deludere chi mi ascolta, ma forse posso farlo arrivare all’orecchio di qualcuno al quale direi di non farlo mai quello che ho fatto io, non farlo mai» afferma con voce ferma. A chi pensa di affrontare diffamazione, giudizi e tribunali in nome del coraggio, Saviano offre un monito spiazzante: «La paura non è codardia, la paura è qualcosa che ti permette di salvarti, cosa che io non ho fatto e ne pago ora le conseguenze psichiche». Un invito alla prudenza, dunque, più che all’impulsiva esposizione pubblica, soprattutto quando si sfidano ambienti capaci di colpire duramente.
Il Sud che isola chi denuncia
Saviano dedica poi un passaggio intenso al rapporto tra Mezzogiorno e narrazione. Secondo lui, il Sud «lascia soli sempre, sempre chi decide di raccontarlo, salvo poi mitizzarlo». Una dinamica che attraversa decenni di storia culturale e politica: chi denuncia viene spesso percepito come intruso, disturbatore, mentre la sua figura viene rivalutata solo dopo, quando è diventata simbolo o mito. Una solitudine che pesa e che, nelle parole dello scrittore, si trasforma in un macigno individuale da portare a lungo.
Il richiamo ad Alvaro: guardare a terra per proteggere la bellezza
Saviano richiama poi Corrado Alvaro, citando la sua descrizione del Sud come un popolo di “mitomani”, adoratori del mito. Un paragone che svela un nodo culturale ancora oggi attuale. «Ad Alvaro dicevano: ‘Hai quel mare, guarda l’orizzonte, hai quel cielo, hai quel cibo’», ricorda Saviano. Ma lo scrittore calabrese rispondeva che il suo compito era guardare a terra, perché è proprio in nome della bellezza del Sud che bisogna denunciare ciò che la minaccia: «È in nome di quel mare, di quel cielo, di quella tradizione che io ho il dovere di raccontare». Raccontare per trasformare, non per compiacere.
Un messaggio di dolore, lucidità e responsabilità civile che arriva da chi, da anni, paga il prezzo più alto della propria voce.


