
La recente relazione della genetista Denise Albani, richiesta dalla gip Daniela Garlaschelli e consegnata alle parti coinvolte, non ha portato all’individuazione del responsabile dell’omicidio di Chiara Poggi con la precisione processuale necessaria per una condanna. Sebbene l’indagine si concentri su Andrea Sempio, l’unico indagato, i risultati della perizia, seppur significativi, non rappresentano una prova definitiva capace di “inchiodare” il soggetto “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Questo dato di fatto costringe la Procura di Pavia a dover integrare i riscontri scientifici con ulteriori elementi probatori, in vista di un’eventuale richiesta di processo per Sempio. Un elemento cruciale e tuttora mancante è un movente credibile, sebbene i “ben informati” suggeriscano che la Procura lo avrebbe già individuato. La complessa relazione di 94 pagine della dottoressa Albani, densa di particolari tecnici su cromosomi e campionature biologiche, necessita di un’analisi che ne distilli i passaggi più cruciali per una comprensione più ampia del caso.
Il nodo centrale delle tracce sulle unghie
Il punto focale della nuova inchiesta risiede nelle tracce di DNA isolate sotto le unghie della vittima, Chiara Poggi. La questione dirimente è: sono attribuibili ad Andrea Sempio e, soprattutto, hanno un valore probatorio significativo per la ricostruzione del delitto? La relazione della dottoressa Albani ha stabilito che, confrontando gli elementi genetici con i DNA di tutti i soggetti d’interesse nel caso (incluso Alberto Stasi, già condannato per l’omicidio), è stata riscontrata una “esclusione di tutti i soggetti” a eccezione di Andrea Sempio e dei suoi parenti maschi per linea paterna. Questo significa, in termini meno cauti e scientifici, che quel DNA è ascrivibile al Sempio. La perizia supporta in modo “moderatamente forte/forte” l’ipotesi della sua “contribuzione” alle tracce genetiche. Tuttavia, è proprio su questo elemento che si innestano i problemi e i relativi dubbi che non permettono di fissare un punto fermo definitivo.
Rilevanti criticità nelle analisi del 2014
La perizia mette in netta evidenza le “rilevanti criticità” inerenti le precedenti analisi sui reperti, in particolare sulle unghie, effettuate nel lontano 2014 dall’allora perito Francesco De Stefano. La dottoressa Albani rimarca in particolare la “mancata quantificazione del DNA” e l’utilizzo di “diversi volumi di eluato” per le tre sessioni di tipizzazione Y, una procedura che ha oggettivamente “condizionato le successive valutazioni”. Tali prassi scorrette non hanno consentito di ottenere “esiti replicati” congiuntamente comparabili, impedendo in sostanza di raggiungere un risultato che fosse “certamente affidabile e consolidato”. Questa scarsa meticolosità investigativa del passato ha avuto conseguenze dirette e pesanti sull’interpretabilità della prova.
Il mistero della posizione del DNA
La conseguenza più dirimente e cruciale delle negligenze del 2014 si riflette sull’impossibilità di stabilire un dettaglio di importanza processuale fondamentale. La dottoressa Albani scrive in modo esplicito che la “tecnica di estrazione del DNA” applicata a suo tempo ai margini ungueali ha comportato un lavaggio e un conseguente discioglimento delle lunette, rendendo impossibile definire se il DNA maschile riscontrato al termine della tipizzazione del cromosoma Y si trovasse “sopra o sotto le unghie” di Chiara Poggi. Questo elemento non è un mero dettaglio tecnico. Se il DNA si fosse trovato sotto le unghie, potrebbe indicare una sua presenza a seguito di un tentativo di difesa della vittima, un graffio all’aggressore. Se invece fosse stato sopra le unghie, la sua presenza potrebbe essere casuale o avventizia, considerando che Andrea Sempio era un frequentatore abituale della casa Poggi in quanto amico del fratello Marco. Una differenza, dunque, che incide in maniera radicale sull’utilizzo processuale di questa traccia genetica.
La genetista conclude la sua relazione riportando una serie di limitazioni scientifiche che affliggono la piena interpretabilità del reperto. Nel caso specifico, si tratta di “aplotipi misti parziali” – tracce genetiche compatibili con il DNA di Sempio – per le quali “non è possibile stabilire con rigore scientifico” una serie di dati essenziali. Tra questi, non si può definire con certezza: se le tracce provengano da fonti del DNA depositate sotto o sopra le unghie della vittima, o da quale dito della mano provengano; quali siano state le modalità di deposizione del materiale biologico originario; perché ciò si sia verificato (se per contaminazione, per trasferimento avventizio diretto o mediato); e, infine, quando sia avvenuta la deposizione del materiale biologico. In sintesi, la dottoressa Albani ribadisce che le strategie analitiche adottate nel 2014 hanno “di fatto condizionato” le successive valutazioni, non permettendo di giungere a un risultato che fosse “certamente affidabile o consolidato”. In sostanza, i risultati, pur significativi, non hanno la solidità scientifica per un accertamento definitivo, lasciando la storia di Garlasco ancora aperta e piena di interrogativi.


