
Il Giappone è tornato a convivere con la paura del mare dopo un terremoto di magnitudo 7.6, registrato a circa 80 chilometri dalla costa del Pacifico. Una scossa così forte, percepita distintamente anche nelle aree più interne del Paese, ha riportato alla memoria quelle ore in cui il confine tra sicurezza e disastro si assottiglia all’improvviso, lasciando spazio solo all’urgenza di mettersi in salvo e di capire quanto sia grande l’onda che sta arrivando. La prima reazione è stata quella dell’Usgs, che ha immediatamente attivato il sistema di allerta tsunami, avviando il monitoraggio in tempo reale sulle possibili onde anomale e comunicando un rischio concreto per le coste giapponesi. Un segnale che, nella memoria collettiva nipponica, non è mai un semplice avvertimento tecnico, ma un invito a reagire con rapidità e disciplina.
La risposta delle autorità giapponesi è stata immediata. L’Agenzia meteorologica nazionale ha stimato onde fino a 3 metri lungo la costa centrale del Pacifico di Hokkaido, nelle zone esposte della prefettura di Aomori e lungo i tratti marittimi della prefettura di Iwate, già duramente provati in passato dagli effetti devastanti del mare in tempesta. Il messaggio, diffuso attraverso i canali ufficiali e ripreso dall’agenzia Kyodo, è stato netto: la popolazione nelle aree a rischio deve seguire senza esitazione le procedure di evacuazione, muovendosi verso zone elevate e lasciando immediatamente le aree costiere.
Il Giappone continua dunque a monitorare l’evoluzione dello tsunami con una rete capillare di sistemi di controllo. L’obiettivo è capire se l’onda prevista manterrà la sua altezza stimata o se il movimento sottomarino potrà generare variazioni improvvise, come spesso accade nei forti terremoti che colpiscono il Pacifico. Per ora non si segnalano danni né vittime, ma l’attenzione resta altissima lungo tutta la fascia interessata, in attesa di capire quale impatto reale avrà questo nuovo violento episodio sismico sulle comunità locali.


