
La mossa della Russia arriva come un colpo studiato sul terreno politico e simbolico del conflitto: la Procura generale ha incriminato decine di ex esponenti politici e militari ucraini per genocidio della popolazione russa e russofona del Donbass dal 2014. Un atto formalizzato in un comunicato che parla di una responsabilità diretta nella conduzione delle operazioni militari successive alla caduta di Viktor Yanukovich, e che trasforma il campo legale in un nuovo teatro di scontro. Tra i 41 nomi inseriti nella lista dei ricercati spiccano figure centrali delle istituzioni ucraine degli ultimi dieci anni, mentre l’assenza del presidente Volodymyr Zelensky sembra suggerire un calcolo politico preciso da parte del Cremlino. Un’assenza che, nel quadro costruito da Mosca, diventa essa stessa un messaggio.
La Procura accusa i dirigenti di aver ordinato alle forze ucraine l’uso di missili, artiglieria, carri armati e aerei da combattimento contro aree civili nelle regioni di Donetsk e Lugansk, con l’obiettivo — secondo la versione russa — di commettere un genocidio ai danni della popolazione locale. Il documento elenca quasi 5.000 morti, oltre 13.500 feriti, tra cui 1.275 minori, e un esodo superiore ai 2,3 milioni di persone. Numeri che Mosca presenta come conseguenza diretta delle operazioni militari ucraine, inserendoli in una narrazione costruita da anni e che oggi trova una nuova formalizzazione giudiziaria.
Chi è nella lista dei 41 ricercati
Nel lungo elenco trasmesso dalla Procura russa compaiono l’ex presidente Petro Poroshenko, il ministro della Difesa Denys Shmygal, gli ex capi delle forze armate Valeriy Zaluzhny e Oleksandr Syrsky, l’ex capo di gabinetto presidenziale Andriy Yermak e Rustem Umerov, oggi segretario del Consiglio di sicurezza nazionale e capo della delegazione ucraina nei negoziati. Tutti sono stati incriminati in contumacia sulla base dell’articolo 357 del Codice penale russo, che definisce il reato di genocidio, e tutti risultano inseriti nella lista dei ricercati.
Il provvedimento colloca la responsabilità a partire dall’aprile 2014, quando — secondo l’accusa — il nuovo governo ucraino avrebbe autorizzato l’uso sistematico di forza militare contro la popolazione delle due regioni separatiste. La versione della Procura parla di attacchi deliberati contro civili, con l’impiego di armi pesanti e infrastrutture militari. Un quadro che ricalca fedelmente la narrativa che Mosca ha costruito negli anni per giustificare l’intervento e che oggi, con questo atto, assume la forma di un dossier giudiziario.
La scelta di non includere Zelensky e il messaggio politico
La mancata presenza del nome di Zelensky tra gli accusati è l’elemento più rilevante del provvedimento russo, quasi una dichiarazione laterale ma evidente. Pur coinvolgendo figure cruciali dell’attuale architettura istituzionale di Kiev, il Cremlino evita di toccare il vertice dello Stato, lasciando un margine interpretativo che potrebbe essere usato sul piano diplomatico o propagandistico nei prossimi mesi. Una scelta che, in termini politici, vale quanto l’incriminazione stessa degli altri dirigenti.


