Vai al contenuto

Ucraina, Papa Leone tradisce Papa Francesco: dalla Nato che “abbaia” alla “pace giusta”

Pubblicato: 09/12/2025 13:49

Il corteo blindato di auto, i vetri oscurati, l’ingresso laterale di Castel Gandolfo e le vie medievali chiuse da ore creano la cornice di un incontro che non è solo protocollare, ma segna un passaggio politico e morale dentro la guerra in Ucraina. Volodymyr Zelensky sale alla residenza pontificia per mezz’ora di colloquio con Papa Leone XIV: lo accolgono il picchetto delle Guardie Svizzere e il nuovo vice reggente della Casa pontificia, poi lo scambio dei doni, il presepe artigianale, l’affaccio al balcone senza dichiarazioni. La nota vaticana parla di “dialogo”, di “pace giusta e duratura”, di prigionieri di guerra, di bambini da riportare alle famiglie; il presidente ucraino invita il Papa a Kiev e ringrazia la Santa Sede per il sostegno umanitario, ricordando il lavoro diplomatico con gli Stati Uniti. La scena è composta, equilibrata, curata. Eppure, dietro quella compostezza, c’è un cambiamento rilevante: Papa Leone si colloca con maggiore nettezza nel campo della vittima, superando il linguaggio ambiguo che per anni aveva accompagnato il pontificato precedente.

La discontinuità sul concetto di pace

Bisogna ricordarlo con precisione: Papa Francesco non aveva mai giustificato l’aggressione russa, ma aveva costruito un racconto in cui le responsabilità della guerra si allargavano oltre la Russia, investendo la storia dell’allargamento della Nato, l’incapacità dell’Occidente di prevenire la crisi, il “sistema mondiale” che non sa evitare i conflitti. La frase sull’“abbaiare della Nato alle porte della Russia” non nasceva per assolvere il Cremlino, ma per descrivere una dinamica geopolitica percepita come pericolosa. Tuttavia, agli occhi dell’Ucraina, quel linguaggio suonava come un’equidistanza che non si poteva più permettere: mentre le città venivano bombardate, mentre intere regioni venivano occupate, mentre migliaia di civili venivano deportati, la narrazione della responsabilità condivisa sembrava quasi negare la natura brutale dell’invasione. La teologia della pace di Francesco, costruita contro la logica dei blocchi, finiva così per apparire – non per intenzione, ma per effetto – come una forma di neutralità. È su questo piano che Papa Leone opera lo scarto: non nega la complessità del mondo, ma smette di distribuirla in modo simmetrico.

L’Europa e il “tradimento” necessario

Nel comunicato letto dopo l’udienza, la parola pace non compare più isolata, non è più un’evocazione generica, non è più un aggettivo implicito che ognuno può interpretare come vuole. È una pace giusta, fondata sul diritto, sui prigionieri, sui bambini rapiti, sull’idea che una guerra non può chiudersi con un compromesso che premia chi ha attaccato. È un rovesciamento di tono: non più la prudenza, non più la ricerca di punti comuni con Mosca, non più l’equidistanza morale, ma la scelta di un criterio chiaro. E quel criterio dice: la giustizia non può essere negoziata. Per questo Zelensky ha colto immediatamente il valore politico dell’incontro e ha invitato il Papa in Ucraina: perché sa che, con questa impostazione, la Santa Sede diventa un interlocutore credibile, non un arbitro neutrale, ma una voce morale che riconosce l’asimmetria del conflitto.

Dire che Papa Leone tradisce Papa Francesco è ovviamente una formula provocatoria, ma nel merito coglie un punto reale: tradisce la narrazione dell’equidistanza, non il Vangelo della pace. Tradisce l’illusione che si possa parlare della guerra in Ucraina senza scegliere un orizzonte di verità. Tradisce la tentazione di ridurre tutto a un problema di geopolitica. E, soprattutto, tradisce una parte dell’immaginario europeo che ha ancora paura di nominare la realtà: una guerra di aggressione che riguarda l’intero continente, not solo Kiev. La chiarezza di Papa Leone mette l’Europa di fronte a uno specchio: se persino il Vaticano smette di parlare di “provocazioni” e insiste sulla pace giusta, allora il tempo delle scorciatoie retoriche è finito. L’Europa può ancora discutere di autonomia strategica, di difesa comune, di rapporti con gli Stati Uniti, ma non può più fingere che la pace sia un concetto neutro. La pace è un ordine politico. La pace è un confine difeso. La pace è la protezione dei più deboli. E la pace, oggi, passa da Kiev.

In questo senso, il “tradimento” di Papa Leone non è un gesto contro il suo predecessore: è un gesto contro l’ambiguità. È la scelta di dire che non tutte le posizioni si equivalgono, che non tutte le diplomazie sono innocue, che non tutte le interpretazioni hanno lo stesso peso di fronte alla storia. E se la Santa Sede, tradizionalmente prudente, sceglie la strada della chiarezza morale, allora significa che la stagione della neutralità è davvero conclusa. Per l’Ucraina, è un segnale di sostegno decisivo. Per la Russia, un messaggio scomodo. Per l’Europa, un invito urgente: guardare la realtà negli occhi e smettere di raccontarsi che la pace si ottiene evitando i conflitti. La pace si ottiene scegliendo da che parte stare.

Continua a leggere su TheSocialPost.it

Hai scelto di non accettare i cookie

Tuttavia, la pubblicità mirata è un modo per sostenere il lavoro della nostra redazione, che si impegna a fornirvi ogni giorno informazioni di qualità. Accettando i cookie, sarai in grado di accedere ai contenuti e alle funzioni gratuite offerte dal nostro sito.

oppure