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Territori, soldati e ricostruzione: lo scontro sui due piani per la pace in Ucraina

Pubblicato: 11/12/2025 07:29

Il confronto internazionale sulla pace in Ucraina entra in una fase decisiva, segnato da una trattativa che si è ormai divisa in più livelli per tentare di trovare un’intesa che non penalizzi Kiev e non conceda vantaggi eccessivi a Mosca. Negli ultimi giorni, le delegazioni degli Stati Uniti, dell’Europa e dell’Ucraina hanno moltiplicato gli incontri per definire un quadro complessivo che garantisca a Kiev un futuro da nazione sovrana, protetta da solide garanzie occidentali e sostenuta da un piano reale di ricostruzione. È il risultato di un lavoro diplomatico condotto soprattutto da Francia, Germania e Regno Unito, impegnate in colloqui serrati con gli emissari di Donald Trump, Jared Kushner e l’immobiliarista Steve Witkoff, affiancati dal segretario di Stato Marco Rubio. Al centro rimane però il punto che blocca qualsiasi passo avanti: la richiesta russa di ottenere l’ultima porzione di Donetsk ancora difesa dagli ucraini, una condizione che Vladimir Putin pretende senza deroghe e che Kiev continua a respingere.

Le trattative hanno preso corpo a partire dall’articolo del Washington Post firmato da David Ignatius, basato su fonti dirette dei negoziati, secondo cui il confronto iniziale si è sviluppato tra i 28 capitoli proposti dalla Casa Bianca — considerati eccessivamente favorevoli a Mosca — e i venti punti elaborati da ucraini ed europei. Da qui si è arrivati alla decisione di suddividere il tavolo in tre filoni: l’accordo con la Russia, le garanzie di sicurezza per Kiev e il progetto di ricostruzione, in modo da far convergere linee diverse verso un’intesa finale più equilibrata. Dentro questo mosaico, uno dei tasselli più rilevanti è l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea già nel 2027: una data che Trump ritiene realisticamente raggiungibile e sulla quale pensa di poter convincere anche Viktor Orbán a rinunciare ai veti ungheresi, aprendo così a investimenti e riforme strutturali, a partire dalla lotta alla corruzione.

Garanzie di sicurezza e aumento dell’esercito

Nel cuore del negoziato ci sono anche due accordi paralleli sulle garanzie di sicurezza. Il primo è quello dei cosiddetti Volenterosi, guidati da Parigi e Londra, che potrebbe essere definito già nelle prossime ore. Il secondo riguarda invece un’intesa tra Washington e Kiev modellata sullo schema dell’articolo 5 della Nato, ossia un impegno americano a intervenire in caso di aggressione. Gli Stati Uniti stanno lavorando sui dettagli per ridurre ogni ambiguità della formula iniziale, convinti che il flusso informativo della loro intelligence rappresenti ancora oggi il pilastro principale della difesa ucraina. In parallelo, Kiev punta a certificare la propria forza militare portando il numero dei soldati da 600 mila a 800 mila, equivalenti agli effettivi attuali. Un limite formale non compare nella bozza perché gli ucraini insistono per mantenere massima libertà sul futuro dell’esercito, anche se molti osservatori giudicano difficile sostenere un organico così ampio.

Un altro punto in discussione riguarda l’idea di introdurre zone demilitarizzate lungo la linea del cessate il fuoco, sul modello della fascia che divide le due Coree. La struttura ipotizzata prevede una prima area completamente priva di militari e una seconda, più profonda, dove sarebbero vietate armi pesanti. A monitorarla dovrebbe essere un contingente internazionale, incaricato di garantire la tenuta del cessate il fuoco. Ma la questione più delicata resta quella dell’ultima porzione del Donbass ancora sotto controllo ucraino: la Casa Bianca, secondo quanto emerso, ritiene la cessione «irrinunciabile», mentre Volodymyr Zelensky continua a ribadire di non avere il «potere legale» di concedere una parte del territorio nazionale. Per superare l’impasse, sul tavolo compaiono ipotesi di demilitarizzazione senza riconoscimento formale della sovranità russa, ancora una volta ispirate al precedente coreano.

Ricostruzione, fondi russi e modello Zaporizhzhia

All’interno del pacchetto complessivo rientra anche la proposta di affidare agli Stati Uniti il controllo della centrale nucleare di Zaporizhzhia, con il ritiro dei militari russi presenti nel sito: un’ipotesi considerata preferibile da Kiev rispetto a una gestione internazionale. Sul fronte economico, Usa ed Europa convergono sulla volontà di utilizzare i fondi statali russi sequestrati in Belgio per avviare il piano di ricostruzione. La prima stima parlava di cento miliardi di euro, ma la cifra verrebbe aumentata per alimentare il programma di sviluppo da rilanciare con il sostegno di BlackRock, guidata da Larry Finch, con l’obiettivo di raccogliere fino a 400 miliardi. Trump sta valutando anche strumenti finanziari destinati alla stessa Russia, basati sull’idea che il benessere economico possa disincentivare future avventure militari. Una visione che in Europa suscita più di una perplessità, considerata un rischio notevole in un contesto ancora instabile.

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