Animal Equality, organizzazione internazionale per la tutela degli animali, ieri ha lanciato la campagna “Bauli: fatti senza cuore” per denunciare il mancato impegno dell’azienda veronese contro lo sfruttamento animale.
L’avvicinarsi della Pasqua riaccende i riflettori sul problema ancora irrisolto degli allevamenti intensivi di galline ovaiole. Questa volta ad essere messi sotto i riflettori sono Bauli e le sue colombe pasquali.
Le uova prodotte con lo sfruttamento
Bauli, con un fatturato di oltre 470 milioni di euro, occupa circa un terzo del mercato dei dolci natalizi e pasquali. Si stima infatti che ogni anno l’azienda produca oltre 4 milioni di colombe. Per mantenere questi standard produttivi sono necessarie oltre 40 milioni di galline, delle quali circa il 60% è ancora allevato in gabbia.
Alla luce di questi dati, la mancata dichiarazione pubblica della provenienza delle uova utilizzate, non è più trascurabile. Un’azienda che ha come valore primario l’eccellenza qualitativa dei suoi prodotti, dovrebbe impegnarsi maggiormente contro lo sfruttamento animale.
Le motivazioni della campagna “fatti senza cuore”
Al contrario di altre aziende competitor, come Maina e Balocco, Bauli non ha ancora preso una posizione chiara sul tema degli allevamenti in gabbia. Nonostante le molteplici richieste, l’azienda non ha voluto instaurare un dialogo con l’organizzazione per affrontare una volta per tutte il problema. Proprio questo atteggiamento di chiusura di Bauli ha portato Animal Equality a intraprendere azioni più concrete.
La campagna “ribalta” il celebre payoff aziendale al negativo e si associa ad una raccolta firme su Change.org che conta già oltre 13 mila sostenitori. Gli attivisti sperano che Bauli, il cui indice di fiducia supera il 70%, decida di aprirsi al confronto e di impegnarsi per contrastare lo sfruttamento animale.
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Anni di lotta contro lo sfruttamento animale
Nonostante la legge italiana abbia sancito già dal 2012 l’obbligo di utilizzo di gabbie arricchite, progettate per garantire una vita dignitosa alle galline, molti allevatori continuano a utilizzare le vecchie “batterie”, trascurando consapevolmente il benessere animale. Per questo motivo Bauli è un tassello fondamentale per il cambiamento: una sua inversione di rotta verso l’utilizzo di sole uova provenienti da allevamenti a terra potrebbe motivare altre aziende a fare lo stesso. Come sottolineato da Flavia Cruciani inoltre, passare dall’allevamento in gabbia a quello a terra non è così gravoso come si possa immaginare: diminuendo il numero di galline, l’incremento del prezzo di produzione aumenterebbe di un solo centesimo.
I primi effetti della campagna
A poche ore dal suo lancio, la petizione ha già iniziato a produrre i primi effetti: Stefano Zacan, CEO dell’azienda, ha affermato, per ora solo privatamente, di essere pronto al confronto. Gli attivisti sperano di vedere presto dichiarazioni pubbliche e, come sottolinea Cupi, una dimostrazione effettiva del “proprio impegno a non utilizzare uova provenienti da galline allevate in gabbia entro una data precisa“.