Stefano Leo avrebbe potuto finire la sua passeggiata, la mattina del 23 febbraio. Avrebbe potuto arrivare al lavoro, concludere la sua giornata, divertirsi, essere triste, amare, invecchiare. Stefano Leo avrebbe potuto farlo, forse, se la macchina burocratica giudiziaria avesse funzionato come doveva e Said Mechaouat fosse stato in carcere, come prevedeva una sentenza definitiva del maggio 2018, che lo condannava a 1 anno e 6 mesi di carcere.
Un altro tassello rende ancora più atroce la storia di Stefano, ucciso con una coltellata alla gola mentre camminava lungo i murazzi, in pieno centro a Torino.
Era stato condannato
Che Said Mechaouat avesse dei precedenti, era cosa nota: ora, però, da fonti Ansa si viene a sapere che al momento dell’omicidio il 27enne non avrebbe dovuto essere a piede libero.
Nel 2015 il 27enne era stato condannato a un anno e sei mesi di carcere senza sospensione condizionale della pena per il reato di maltrattamenti in famiglia. Il suo avvocato, Basilio Foti (che attualmente lo assiste nel caso di Stefano Leo) aveva presentato ricorso d’appello ma era stato respinto. A quel punto, nel 2018 la condanna era poi diventata definitiva.
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Qui nasce però un problema: Said non era mai stato portato in carcere. la cancelleria della corte d’appello, a quanto pare, non avrebbe trasmesso in tempo la sentenza definitiva alla procura, che si era trovata nella condizione di non poter procedere con l’arresto. Non si capisce, però, come mai il mancato arresto si sia protratto per 9 mesi.
Il padre: “Non ci resisto più”
Grande lo sdegno di Maurizio Leo, il padre di Stefano, che alla Stampa dichiara: “Doveva essere in galera e invece per un errore o una sciatteria era libero. Io non voglio più stare qui, non ci resisto più”. Si riferisce al suo Pese, l’italia, che accusa di tradimento: “Questo Paese non tutela i suoi cittadini. Voglio andarmene via. Non voglio più sapere niente. Mi sento svuotato di tutto. Mi sento tradito”. Il dolore per aver perso il figlio è ancora più insostenibile, dopo gli ultimi elementi emersi: “Non so cosa farò, è accaduto tutto così in fretta. Ma farò di tutto per far avere a Stefano quella giustizia terrena che si merita. Farò tutto ciò che è umanamente possibile. Poi cercherò di riprendere in mano quel che resta della mia vita”.
Il giudice chiede scusa
AGGIORNAMENTO DELLE ORE 13.30 – Edmondo Barelli Innocenti, presidente della Corte d’Appello di Torino, è intervenuto nel dibattito ora così combattuto sul fatto che Said avrebbe dovuto essere in carcere: “Come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo“. Chiarisce comunque la situazione “abbiamo fatto quello che dovevamo fare” e “non c’è certezza che Mechaquat potesse essere ancora in carcere il 23 febbraio“.
Edmondo Barelli Innocenti chiarisce che però che le necessità sono tante: “Sono qui a prendermi i pesci in faccia, come è giusto che sia, ma non scrivete che la colpa è solo dei magistrati. Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno“