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Caso Scopelliti, il pentito Avola: “Ho partecipato all’omicidio”

Pubblicato: 21/05/2019 15:45

Nel marzo scorso sono state inserite 17 persone nel registro degli indagati per l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. La svolta nelle indagini è arrivata grazie alla testimonianza del pentito Maurizio Avola, del clan catanese guidato da Nitto Santapaola. E proprio in questi giorni, Avola ha iniziato a raccontare cosa accadde prima del 9 agosto 1991, data del delitto del magistrato. 

Il motivo dell’omicidio del giudice Scopelliti

Ho partecipato alla strategia stragista fin dall’inizio, dall’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, che doveva prendere in mano il maxi processo a Cosa Nostra“, con queste parole è iniziata la deposizione del pentito Maurizio Avola. Qualche giorno fa, ha testimoniato in videoconferenza davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria. È stato possibile riaprire il caso sull’assassinio del giudice Scopelliti proprio grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. Rispondendo alle domande del pm Giuseppe Lombardo, Avola ha confermato il motivo dell’omicidio del magistrato e la propria partecipazione. Scopelliti è stato ucciso a Villa San Giovanni il 9 agosto 1991 perché avrebbe rappresentato la pubblica accusa nel maxi processo in Cassazione contro Cosa Nostra. 

Tribunale di Reggio Calabria. Immagine: Sito Tribunale di Reggio Calabria
Tribunale di Reggio Calabria. Immagine: Sito Tribunale di Reggio Calabria

La testimonianza

Quando venne ucciso, il giudice stava, infatti, preparando il rigetto dei ricorsi avanzati dai legali degli esponenti mafiosi condannati nel primo maxi processo a Cosa Nostra. “Mi hanno informato dell’omicidio cinque giorni prima e a farlo sono stati Aldo Ercolano e Marcello D’Agata“, ha spiegato Avola. “Mi risulta che, a discutere di questo delitto, c’erano Eugenio Galea ed Ercolano, nel corso di un incontro tenutosi a Trapani. Era la primavera del 1991. A quella riunione parteciparono pure Matteo Messina Denaro e suo padre, quest’ultimo era contrario all’omicidio“, ha continuato il pentito. Secondo il quale, anche il boss Nitto Santapaola era contrario alle stragi che stavano per essere messe in atto. In riferimento a ciò ha detto: “Per lui la strategia stragista era sbagliata. Già nell’89 i palermitani dissero che bisognava uccidere Giovanni Falcone a Catania, ma Santapaola disse di no“.

Il ritrovamento dell'auto del giudice Antonino Scopelliti. Immagine: Archivio Ansa
Il ritrovamento dell’auto del giudice Antonino Scopelliti. Immagine: Archivio Ansa

‘Ndrangheta stragista

Il collaboratore di giustizia ha anche spiegato che per le stragi si doveva utilizzare una certa sigla: “Dovevamo rivendicare gli attentati con la sigla Falange Armata, anche se non eravamo stati noi a compierli“. Tutto ciò venne stabilito durante una riunione di esponenti mafiosi: “occorreva iniziare con le bombe e rivendicarle con quella sigla“. Al processo, tenutosi nei giorni scorsi, erano presenti Giuseppe Graviano, capo mafia di Brancaccio, quartiere di Palermo, e il boss Rocco Santo Filippone. I due sono accusati degli attentati contro l’Arma dei carabinieri avvenuti tra il 1993 e il 1994, durante i quali morirono gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo