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Testimone di Geova si rompe un femore e muore: aveva rifiutato la trasfusione di sangue

Pubblicato: 26/06/2019 12:37

Sarà la Procura della Repubblica di Agrigento ad indagare sulla morte di Vittorio Messina, il testimone di Geova di 79 anni che è morto lo scorso 14 giugno nell’ospedale San Giovanni di Dio, a seguito di un ricovero dovuto alla frattura di un femore.

La litigata col vicino di casa

Sono due versioni in contrasto quella emersa in un primo momento e quella sostenuta dai familiari nonché dall’intera Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, difesi dall’avvocato Giacomo La Russa.

I fatti risalgono al 7 giugno scorso e l’unico dato appurato è che proprio in quel giorno, Vittorio Messina, un testimone di Geova di 79 anni, aveva avuto una violenta e accesa discussione con il vicino di casa 71enne, nel comune di Favara. Un diverbio in cui, forse per disattenzione o per un incidente o per un gesto consapevole, il 79enne Messina è caduto fratturandosi il femore.

Il ricovero in ospedale, l’intervento e la trasfusione

Da questo momento in poi, all’interno della ricostruzione degli inquirenti, esistono due versioni, una diffusa in un primo momento e una dei familiari di Messina (non tutti facenti parte dei Testimoni di Geova).

Secondo quanto si legge nel comunicato della congregazione, pubblicato da Agrigento Notizie, il 79enne si sarebbe recato, a seguito della frattura, immediatamente in ospedale il 7 giugno stesso “come confermabile consultando i referti medici“. In un primo momento invece, quanto venuto a galla confermava come Messina, nonostante la frattura, avesse atteso 6 giorni in casa prima di recarsi al nosocomio.

La necessità di un’operazione con trasfusione

Una volta giunto in ospedale, al San Giovanni di Dio di Agrigento, l’uomo si sarebbe sottoposto a tutte le visite e controlli dei medici che avrebbero constatato la frattura e informato il paziente di doversi sottoporre ad un’intervento chirurgico che avrebbe però comportato anche una trasfusione di sangue che per questioni natura religiosa e non medica, i testimoni di Geova non possono accettare. Secondo quanto riportato in un primo momento, il 79enne di fronte alla soluzione dei medici – operazione con trasfusione – avrebbe rifiutato di sottoporsi alle cure, lasciando l’ospedale.

L’accusa: nessuna strategia alternativa

Un altro punto di divergenza: sempre nel comunicato stampa che si legge su Agrigento Notizie, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova avrebbe smentito in toto – insieme al legale La Russa – questa ricostruzione dei fatti: “Il paziente desiderava vivamente essere operato; chiedeva solo di non essere sottoposto a emotrasfusioni. È quindi infondata l’asserzione secondo cui avrebbe rifiutato le cure e l’intervento chirurgico“.

Secondo i familiari dunque Messina non avrebbe rifiutato l’intervento bensì solamente la trasfusione e sarebbe stato ben disposto a farsi curare ricorrendo a qualsiasi strategia alternativa che non menzionasse l’emotrasfusione.

Esasperato per le continue pressioni

Un altro dato però certo è che dopo la prima visita in ospedale, Messina ha lasciato l’ospedale e sarà onere della Procura comprendere se il motivo sia da rintracciarsi nella totale negazione del paziente di sottoporsi alle cure o se, come invece affermano familiari e congregazione, sia stato il gesto volontario dell’uomo perché “esasperato per le continue pressioni dei medici secondo cui, a causa del suo rifiuto delle emotrasfusioni, dovesse andarsene“.

Il decesso e l’iscrizione del vicino tra gli indagati

Sempre secondo quanto emerge dal comunicato, i medici sarebbero stati responsabili di aver negato una strategia di cura alternativa “nonostante esistano consolidate evidenze scientifiche della loro efficacia“. Sul caso, come già sopracitato, sta indagando la Procura di Agrigento e tuttora è da chiarire la causa della morte di Messina che non si può al momento legare in toto alla sola frattura, al presunto diniego del paziente o al presunto diniego dei medici.

L’ultimo tassello che con certezza si può aggiungere a questa vicenda è l’iscrizione, nel registro degli indagati, del nome del vicino di casa di Messina, il 71enne sul quale grava attualmente l’accusa di omicidio preterintenzionale.