Avrà un figlio da suo marito, morto di tumore prima di vedere concretizzarsi la tanto sognata seconda gravidanza. Protagonista una donna che, dopo un’odissea burocratica, si è vista riconoscere il diritto all’impianto di un embrione crioconservato 5 anni prima e fecondato con il seme del coniuge. La coppia, originaria della provincia di Lecce, aveva deciso di avere un secondo bambino e si era affidata alla procreazione medicalmente assistita nel 2015. Ma la terribile diagnosi aveva stravolto i loro programmi.
Un figlio dal marito defunto: il sì a Lecce
Il tribunale di Lecce si è espresso favorevolmente in merito alla richiesta di una donna pugliese che intende avere un bimbo dal marito deceduto. L’uomo è morto di tumore nel 2019 ma nel 2020 nascerà il suo secondo figlio.
La coppia si era sottoposta alla procedura di procreazione medicalmente assistita (Pma) nel 2015, anno in cui due embrioni, fecondati con il seme dell’uomo, furono sottoposti a crioconservazione. La procedura si è però interrotta per via della diagnosi di cancro che ha stravolto la vita dei coniugi.
Ma la moglie non si è arresa e ha chiesto di poter utilizzare un embrione fecondato per portare avanti una gravidanza postuma. L’ok del giudice le permetterà di coronare il sogno coltivato quando il marito era in vita, primo caso in Puglia e terzo in tutta Italia dopo quelli di Palermo e Bologna (nel 1999 e 2010).
La battaglia per la gravidanza postuma
La battaglia per non perdere almeno uno degli embrioni fecondati con il liquido seminale del marito è durata diversi mesi, tra burocrazia e udienze. La storia di questo sogno è iniziata nel 2014, quando in coniugi avrebbero deciso di avere un secondo bambino e, non riuscendoci, si sono rivolti a un centro per la Pma.
Dopo la diagnosi di tumore che ha colpito l’uomo, però, le priorità sono cambiate e i due avrebbero deciso di dedicarsi più avanti al progetto di un altro figlio.
Prima di morire, l’uomo avrebbe firmato il consenso per la procedura di impianto, ma era necessario il via libera del tribunale. Ad assistere la moglie l’avvocato Tania Rizzo, che ha dovuto muoversi nei meandri di un’importante questione normativa di fondo.
Si tratta dell’articolo 5 delle legge in materia di procreazione assistita, che stabilisce che “possono accedere alle tecniche di procreazione assistita coppie maggiorenni entrambi viventi“. Questo era l’ostacolo principale al desiderio della sua assistita.
Secondo il legale della donna, però, a prevalere doveva essere il diritto alla maternità, oltre al fatto che un embrione fecondato non possa essere soppresso e che vi fosse l’esplicito consenso dell’ormai defunto padre biologico.