La famiglia di Maria Antonietta Rositani è disperata. È implacabile il dolore del papà della donna, bruciata nel rogo della sua macchina, applicato dal suo ex, Ciro Russo, lo scorso 13 marzo. L’uomo è stato arrestato poco dopo il fatto, dopo che si era dato alla fuga. Lei è tuttora in ospedale e ultimamente le sue condizioni hanno avuto un tracollo. A casa, ad aspettarla, c’è William, il figlio, attualmente curato e sotto la tutela dei nonni materni.
Lasciata sola dalle autorità?
Qualche giorno fa Carlo Maurizio Rositani aveva scritto una lettera aperta, diffusa da Fanpage: nella lettera denunciava la scarsa protezione con cui le forze dell’ordine e lo Stato avevano tutelato la figlia: “Com’ è possibile che, in un territorio fortemente contaminato dalla criminalità, come, purtroppo, risulta essere il meridione d’Italia, un EVASO possa tranquillamente percorre così lunghe distanze (…)?” chiede l’uomo. Ciro Russo era infatti ai domiciliari presso la casa dei suoi genitori, ed era sparito nel nulla per ore. L’uomo ha avuto la possibilità di percorrere senza problemi 450 chilometri, raggiungere la moglie e poi dare fuoco. Il padre della stessa ha poi criticato il modo in cui la figlia sarebbe stata difesa dalle autorità, una volta consapevole della fuga: “Quando ha chiamato, alle 8:27, terrorizzata, le forze dell’ordine per chiedere aiuto le è stato banalmente suggerito di girovagare in città senza fermarsi piuttosto che suggerirle lucide soluzioni ed attivare immediati protocolli di protezione e di messa in sicurezza”.
Un bambino lasciato solo
Oggi, una nuova lettera dell’uomo, indirizzata al Presidente della Repubblica mattonella, pone l’accento su quanto la situazione sia difficile. La cosa più difficile è chiaramente spiegare la situazione al figlio di Maria Antonietta, che oltretutto nel rogo ha perso il suo cagnolino Diuk, che era nella macchina: “Signor Presidente chi ha il coraggio di dire al piccolo William che il suo adorato Diuk non c’è più?”. Sopportare il dolore di Maria Antonietta, poi, è dolorosissimo: “Le scrivo, gentile Signor Presidente, per dirle che quando le sono accanto non la posso toccare o abbracciare, posso solo vederla triste, con gli occhi spenti da quelle fiamme. Da quelle fiamme mortali di quel giorno. Posso solo ascoltare i suoi dolori, che come delle serpi notte e giorno con la lingua di fuoco le mordono la pelle”.
La lettera, piena di rabbia e di sofferenza, si conclude con una richiesta: “Le scrivo perché voglio che chi ha sbagliato, nei confronti di mia figlia, abbia il coraggio, guardandola in faccia di chiederle con umiltà scusa.. e di provare con molta umiltà scendendo dal suo alto Palcoscenico d’autorità a immaginare”.