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Caso Giuseppe Uva, la sorella Lucia condannata per diffamazione

Pubblicato: 20/09/2019 15:10

Lucia Uva è stata condannata dalla Corte d’Appello di Milano per aver diffamato sei poliziotti e due carabinieri, già assolti lo scorso luglio dalla Cassazione dalle accuse di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona del fratello Giuseppe. La sentenza prevede 500 euro di multa, il pagamento delle spese processuali e un risarcimento da determinarsi in sede civile. In pochi mesi il caso giudiziario ha visto così due tappe importanti, che hanno lasciato l’amaro in bocca alla donna: “La rabbia è tanta, questa è ingiustizia – ha dichiarato a Le Ienesono molto delusa ma non mi fermo, farò ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo”.

La morte del fratello e le accuse di diffamazione

La vicenda era partita nell’ormai lontano giugno 2008, quando Giuseppe Uva morì nell’ospedale di Varese dopo essere stato fermato e trattenuto nella caserma dei carabinieri. I dubbi su cosa accadde quella notte e su quali furono le vere cause del decesso sono perdurati per parecchio tempo. I vari gradi del processo hanno infine stabilito che non furono i carabinieri o i poliziotti ad uccidere il 43enne, che sarebbe invece morto a causa di alcuni problemi cardiaci. Una versione che non ha mai convinto la sorella, spingendola ad usare frasi anche forti nei confronti degli imputati. Ed è proprio su alcune di queste frasi, pronunciate e scritte da lei in passato e giudicate lesive della reputazione degli interessati, che si è concentrato il procedimento per diffamazione a suo carico.

Undici anni di processi

La Corte d’Appello ha quindi ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Varese, che nel 2016 aveva assolto la donna dalle accuse. La lunga serie di processi, ammette Lucia Uva, le sta creando varie difficoltà: “In undici anni di processi ci siamo svenati – ribadisce a Le Ienee adesso dovrò pagare 500 euro di multa, un risarcimento civile e le spese degli avvocati delle parti. Finirà che chiederò l’elemosina davanti al Tribunale per poter pagare”. Nonostante ciò è determinata a continuare nella sua battaglia: “Non spezzeranno il nostro sorriso, andiamo avanti: aspettiamo le motivazioni della Cassazione, che erano attese per agosto e invece non sono ancora arrivate, e poi faremo ricorso alla Corte di Strasburgo”.