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Zia e nipote scomparse 28 anni fa: forse uccise e sepolte in un campo militare

Pubblicato: 28/11/2019 17:47

Burano (Venezia), ultima domenica di ottobre del 1991. È il giorno della scomparsa delle giovani Paola Costantini e Rosalia Molin, zia e nipote. Dopo 28 anni, una nuova testimonianza ricca di accuse di tentato stupro, omicidio e occultamento dei cadaveri, mai più ritrovati, potrebbe rivelarsi la chiave per la risoluzione del mistero, dando così una svolta decisiva al caso delle due “buranelle”. Un mistero italiano, irrisolto sotto molti aspetti, con vittime mai più ritrovate: come il caso Orlandi.

La scomparsa di Rosalia e Paola

A fine ottobre del 1991, la laguna veneziana diventa teatro di un efferato duplice omicidio. Le vittime son due giovani ragazze non ancora 30enni. Rosalia Molin, allora 25enne, ha lasciato da poco tempo il suo ragazzo, il 30enne siciliano Nicola Alessandro, perché possessivo e violento, e inizia a frequentare un giovane friulano dal carattere più mite. Rosalia però il 27 ottobre svanisce nel nulla, insieme alla zia e amica Paola Costantini, di 4 anni più grande. Secondo la ricostruzione del Corriere del Veneto, quel giorno le due “buranelle” prendono il vaporetto a Burano per raggiungere Treporti, assieme al fratello minore di Rosalia, Nicola Molin. Là, ad attenderle c’è parcheggiata la Fiat 126 di Rosalia, che le dovrebbe portare in un cinema di Jesolo. Ma le ragazze non arrivano mai a destinazione.

L’auto manomessa e i sospetti sull’ex fidanzato

Si scopre infatti che l’auto è stata manomessa. Qualcuno ha rimosso i bulloni di una ruota. In quel momento, incrociano Alessandro, l’ex di Rosalia Molin. La sua versione dei fatti è rimasta sempre la stessa per quasi 30 anni, spiega il Corriere. Alessandro e l’amico con cui si trova quando incrocia le ragazze offrono il loro aiuto, ma le ragazze rifiutano. Nicola Molin conferma, dichiarando di aver accettato un passaggio per raggiungere la pizzeria di Ca’ Savio dove lavorava all’epoca. Quella sera poi Nicola Molin incontra nuovamente Alessandro, affermando che questi porta vestiti differenti rispetto al pomeriggio. L’ultimo ad aver visto in vita le giovani buranelle sarebbe un tassista, che intorno alle 19 e 45 accompagna le ragazze a Ca’ Savio. I sospetti principali ricadono sull’ex fidanzato di Rosalia, a maggior ragione dopo la testimonianza della signora Franca M., proprietaria dell’appartamento di Alessandro.

Le grida nella notte e l’amico militare

La donna racconta di aver visto quella sera le ragazze in compagnia di Alessandro e dell’amico, il militare del reggimento Lagunari di Venezia Matteo Spinelli. Secondo il racconto della signora Franca, alle 22.30 si sentirono delle urla. Paola Costantini uscì dalla casa inseguita da Nicola Alessandro. Nel corso degli anni successivi, le indagini si spinsero fino al campo militare di Punta Sabbioni, di proprietà del reggimento Lagunari. Qua le testimonianze concordano. Alessandro, tramite l’amico militare, avrebbe avuto accesso al camping quella sera. Le ragazze sarebbero state portate contro la loro volontà al suo interno, con l’intenzione di stuprarle. Ma la situazione sarebbe degenerata. Uno dei militari avrebbe fatto partire accidentalmente un colpo di pistola nel tentativo di minacciare Rosalia, uccidendola. Per far tacere le urla strazianti di Paola, a quel punto, i carnefici pensarono di uccidere anche lei.

I corpi di Paola e Rosalia non son mai stati ritrovati

Secondo le testimonianze raccolte in questi anni, dunque, le ragazze sarebbero sepolte all’interno del camping militare. Uccise e nascoste, strappate violentemente alle loro famiglie in una serata autunnale di inizio anni ’90. Ad insistere su questa pista, finora la più accreditata, è anche la dettagliata testimonianza di un teste, rilasciata di recente. Il testimone (di cui non è stata rivelata l’identità) conferma il rapimento, il tentativo di stupro e l’omicidio all’interno del campo militare. Gli autori del crimine avrebbero poi sepolto le due buranelle senza vita in un cantiere, dove oggi sorge la lavanderia del campo militare. “Le hanno messe nelle fondamenta e hanno costruito sopra una città”, avrebbe rivelato il teste, secondo quanto riporta Fanpage. Che non si sappia che vi aiuto, se no fanno fuori pure me, avrebbe poi concluso.

Il “caso Buranelle” è ancora aperto

Il fascicolo del “caso Buranelle” è al momento dormiente. Significa, ha spiegato l’avvocato della famiglia Molin, che nel caso saltassero fuori nuovi elementi non sarebbe necessario chiedere la riapertura del caso. Per questo motivo, il legale della famiglia Molin Roberto Continisio ha invitato (riporta ancora Fanpage) “chiunque abbia partecipato, anche solo aprendo il cancello di quella struttura, a farsi avanti. Dopo 28 anni, il reato di favoreggiamento è prescritto, chi ha partecipato non rischierebbe nulla, ma potrebbe aiutare una famiglia”. Una famiglia che da 3 lunghissimi decenni attende la giustizia e la verità per le sue due giovani e innocenti “buranelle”.

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2019 17:58