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Dieci anni di italiano: dal 2010 al 2020 tra selfie e petaloso

Pubblicato: 03/12/2019 16:26

Tempora mutantur, nos et mutamur in illis, scrivevano i latini nel sedicesimo secolo riferendosi al mutare del tempo ed è innegabile che, nel mutare, si rinnovi anche il modo in cui parliamo. Un continuo fluire di neologismi in quel vocabolario d’uso comune a cui attingiamo continuamente e che quotidianamente aggiorniamo, ampliamo, in maniera del tutto naturale. Pensando al 2010, una parola d’uso odierna quale il solo “whatsappare”, poteva ancora risuonare inconsueto alle orecchie: facciamo un piccolo viaggio linguistico nell’ultimo decennio tra avanguardie, neologismi e forestierismo ormai più che consacrati.

Gli anni nimby

Linguaggio, parole, modi di dire perfettamente connaturati al contesto storico proprio perché, come le persone, le parole nascono, vivono e muoiono in maniera unica, esclusiva ed irripetibile nel mondo circostante, in un dato momento storico. Proprio per questo non avremmo mai potuto usare prima del 2010 il termine nimby, neo(angli)logismo entrato nel vocabolario comune di tutti i giorni in Italia dopo le prime proteste contro la TAV, ad indicare l’acronimo inglese “Not in My Back Yard“, propriamente “non nel mio giardino“.

Dal 2010 al 2020, tecnologia in vita e in parole

Largo spazio poi a tutte quelle parole legate alle innovazioni, alla tecnologia e all’avanguardia informatica, grande serbatoio di vocaboli e termini la cui accezione, nelle sue sfumature, valica i confini tematici. Dal più banale fake news, comunissimo oggi per indicare “informazioni false” in qualsiasi ambito. Stesso identico discorso per il verbo denominale whatsappare che sempre più sovente sostituisce il banale “ti scrivo, ti contatto” per arrivare al più velatamente minaccioso screenshottare, dal termine screenshot, la cattura dell’immagine che oggi può avere plurimi significati: da “immortalare” a “inchiodare in quanto prova”. Dal medesimo contenitore anche i tanto amati selfie, parola di uso ma anche abuso comune al posto del più antico autoscatto, declassato in quella categoria di termini vintage e retrò cui non sussiste più l’esigenza.

Brexit; flat tax e influencer

Anche nella musica si attestano parole che prima degli anni 2010 non avrebbero avuto ragione d’esistere perché vuote come vocale, diventato nome a sé stante di un particolare modo di contattare a mezzo di nota vocale. Così tanto banale oggi e in realtà così estremamente moderno. Si travalica poi nel mondo della politica, da sempre genitrice incessante di termini, che in questi ultimi 10 anni ci ha regalato la flat tax ma anche lo spesometro, i no vax, Brexit.

E parlando di tendenze, proprio di questi 10 anni anche la parola influencer che prima di attestarsi nel vocabolario è riuscita ad identificare un vero e proprio lavoro da puri millenials. Un mondo impregnato di social in tutti i loro componenti, dalla stories alle spunte blu, più incriminanti di un esame genetico. In coda i termini hashtag che ha sostituto sempre più slogan, ma anche il verbo taggare, bannare, unlikare: lemmi figli di un’era tecnologica in avanzato sviluppo e simbolo di come, la stessa tecnologia, abbia ormai assoggettato la vita di tutti i giorni.

Chi può poi dimenticare, il 2016, l’anno di petaloso, un vero e proprio caso giornalistico che interessò tutti, dalla maestra del piccolo Matteo, coniatore, all’Accademia della Crusca. Il “la” per una scia di neologismi in copia che hanno dato luce a comodoso, risparmioso e anche inzupposo.

Ultimo Aggiornamento: 03/12/2019 16:39