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Paolo Borzacchiello: chi è veramente l’uomo con la parola magica

Pubblicato: 18/02/2020 14:54

“Chi è Paolo Borzacchiello?”

“Eh bella domanda!”

Sì, è una bella domanda! E se chiedessi a te che stai leggendo: “Chi sei tu?” Sapresti rispondere? Sapresti dire chi sei veramente senza rifugiarti in una definizione di ruolo?
Da qui parte il viaggio nel tempo in cui Paolo ci accompagna nella sua infanzia, presentandoci Paolino, quel bambino insicuro che, ogni tanto, torna a fargli compagnia. Ci guida per mano e ci fa innamorare della sua passione per la lettura e per la conoscenza, ci fa sorridere pensandolo a cantare Baglioni per 20 minuti di fila e ci fa commuovere mostrandoci le sue salite e i suoi belvedere, dai quali oggi guarda indietro con la consapevolezza di chi ha avuto il coraggio di cambiare quella strada che sembrava il suo destino.

Paolo Borzacchiello: tra persona e personaggio

Chi è Borzacchiello?

La prima cosa che mi viene da dirti è un innamorato perso delle parole e del cervello e di quello che si può fare con la parola; un innamorato entusiasta del potenziale umano e della conoscenza in generale.

E chi è Paolo?

Eh Paolo è…. Paolo è tante cose, è un divulgatore, continuerei a ripeterti quello, a me piace leggere, studiare, imparare, divulgare, è un distributore di conoscenza.

Ricordo che in più occasioni hai detto: “Questo è anche il personaggio Borzacchiello” e altre volte “Questo è più Paolo”:

sì, il personaggio è quello un po’ più corrosivo, quello che magari prende posizione netta o che provoca deliberatamente, a volte estremizzando le posizioni, mi serve per suscitare l’attenzione di persone a cui poi voglio comunicare. Paolo, quello più intimo, è quello che magari in aula racconta gli aneddoti più privati, racconta l’episodio triste della sua vita, racconta la sofferenza del bambino che poi ha imparato a fare pace con una serie di dinamiche e situazioni che ne hanno caratterizzato l’infanzia. Paolo forse è ancora il bambinello che a tratti non crede ancora di essere riuscito a fare tutto quello che ha fatto. Il Paolino insicuro c’è ancora.

Foto di classe di Paolo Borzacchiello in un post di Facebook
Facebook

E come ci parli con il Paolino insicuro? 

Di solito cerco di ignorarlo, proprio perché so che lasciarsi andare troppo al piagnisteo interiore non porta tanti vantaggi. È una visione poco romantica se vuoi e molto tecnica, cioè so che se io cedo troppo nel chiacchiericcio interiore mi può portare fuori strada e poi capitano cose che non mi piacciono. Ci parlo, ogni tanto, cercando di convincerlo del fatto che è tutto vero e che sta tutto funzionando, per godermi con lui, a volte, la sorpresa di essere riconosciuto.

Non ti aspetti di essere riconosciuto?

Io a volte rimango ancora sorpreso quando capitano cose che gli altri si aspettano. Ti faccio un esempio: un mese fa ho incontrato un attore italiano davvero molto famoso. Mi ha cercato lui, per parlare del libro, perché gli è piaciuto molto. Io mi ero preparato mentalmente, perché… insomma, è una star. E mi ero preparato tutte le mie strategie mentali per convincerlo a lavorarci, magari per trarne un film. L’ho incontrato a Roma, per un aperitivo. Appena mi ha visto, mi ha abbracciato e ricoperto di complimenti… come se fosse lui onorato di incontrare me e non viceversa, insomma, strano davvero, mi sentivo io la star.

A L'eredità chiedono: "Secondo il neurolo Paolo Borzacchiello, qual è uno dei tre punti chiave per ricordare meglio i libri" - post di facebook
Facebook

Mi racconta che chiede puntualmente ai suoi collaboratori cosa dice la gente di lui e che legge personalmente tutti i messaggi che gli arrivano sui social:

Emerge una cosa che mi lascia sempre un mix tra il contento dal punto di vista dell’ego e lo spaventato dal punto di vista della responsabilità. Per tantissime persone sono quello che gli ha cambiato la vita; una definizione che mi spaventa molto è il guru spirituale, definizione in cui non mi riconosco. Ecco, c’è gente che mi scrive delle cose che a volte mi lasciano persino imbarazzato, nel senso di “Oddio che responsabilità che ho!

Instagram

E nonostante questo non ci vai per il sottile, soprattutto su Instagram i tuoi post sono molto diretti:

sono estremamente diretti ed estremamente corrosivi, perché so che non puoi piacere a tutti, questa è una cosa ovvia, e io, dato che so di avere tempo limitato in questa vita, voglio parlare alle persone che sono in qualche maniera attratte da me da questo punto di vista; so di non poter cambiare tutto il pianeta Terra, ma so che se uso un certo tipo di linguaggio le persone che sono disposte a mettersi in discussione, ad andare in crisi anche, allora sentiranno il mio richiamo e quindi verranno a me; è una scelta molto precisa.

La parola magica: un libro che gli ha cambiato la vita

Paolo Borzacchiello con il personaggio di Leonard Want de La Parola Magica, il suo primo romanzo
Foto tratta dall’album privato di Paolo Borzacchiello: lui e Leonard Want

Ci sono persone che vengono a te non conoscendoti personalmente?

Adesso sì. Quando ho scritto il mio primo romanzo, La parola magica, ho avuto un momento di ansia, io non sono incline alle preoccupazioni o all’ansia, perché ho imparato a gestirmele, c’ho vissuto per vent’anni, quindi me le faccio passare in pochi secondi, ma ho avuto un momento di forte paura, proprio perché ero abituato al plauso delle persone che vengono in aula e in aula c’è un rapporto di ruolo molto particolare, sei comunque il docente, hai comunque un ruolo che automaticamente ti garantisce un potere psicologico più forte e io ho vissuto per tanti anni solo l’aula e lì avevo un grande riscontro.

Quando ho cominciato a ragionare sul romanzo ed è stato pubblicato, io lì ho saputo che sarei finito in mano ad un sacco di persone che non mi avevano mai sentito e quindi il dubbio era: “Piacerò anche a chi non mi ha mai visto dal vivo? A chi non mi ha mai seguito? Al lettore casuale che passa in libreria?” È stata una sfida mondiale, superata bene: ho il 95% di lettori che mi mette giudizi mirabolanti e questo mi ha estremamente confortato, questa è stata una conferma per me e per il Paolino insicuro importantissima.

Cosa c’è di Paolo ne La Parola Magica? Io che ti conosco ho visto un Paolo in aula, un secondo Paolo sui social e un terzo ne La Parola Magica. Nei romanzi mostri una sensibilità che non immaginerei se ti conoscessi solo tramite social:

eh sì, è molto diverso, nel senso che il social è volutamente molto tranchant, perché non ho tempo da perdere, io non voglio dare messaggi né edulcorati né raccontare le solite quattro storie di cui il mondo social è popolato: quindi il messaggio buonista da me non ce l’hai! Non mi interessa neanche parlare a quel tipo di persone, hanno bisogno di altro. Io sono uno che prende a calci in culo i clienti, nel senso vero del termine: se vieni da me a fare una consulenza aspettati che io ti dia tante di quelle fustigate che ti lascino barcollante, perché il mio approccio è questo! Non sto a raccontarti la storiella di “Tutti ce la possono fare” o “Vogliamoci bene” perché incanta l’animo, ma poi non produce risultato.

In aula hai dei limiti, soprattutto se le fai per realtà che non sono le tue, lì c’è il personaggio: se è un corso di coaching devi interpretare il coach super cazzuto, se è un corso di vendita devi interpretare il venditore super cazzuto, quindi c’è il tratto che la gente si aspetta di vedere in un corso del genere. 

La prima stesura de La parola Magica era un modo per stare vicino alle persone. Nasce dal fatto che ho un gruppo su Facebook e scrivevo questi capitoli per divulgarli gratuitamente, davo delle cose da fare al personaggio e la gente che mi seguiva in aula poteva studiarle. Ha avuto un mega successo, poi è passato in Mondadori e così via. 
Il romanzo l’ho scritto per arrivare al pubblico più grande e qui devo citare il mio editor e amico che è Francesco Gungui, il quale nella prima stesura mi ha dato una serie di stimoli e mi ha proprio fatto fare una sorta di viaggio dell’eroe del “Mettici un po’ di cuore, mettici un po’ di sentimento”, perché la prima stesura era molto Paolo come social, mancava tutta la parte di narrazione della storia personale e quindi seguendo i suoi consigli man mano ho cominciato a scrivere anche una parte più intima, ho visto che era molto catartico, mi faceva stare bene e man mano è stato più semplice: il romanzo me lo tengo come terapia personale, butto fuori tutto e risolvo le mie cose scrivendo. 

I personaggi de La Parola Magica, post tratto da Instagram
Instagram: i personaggi de La Parola Magica

Paolo, Paolino e le emozioni

Perché ti era difficile all’inizio tirare fuori la parte più sentimentale, più emotiva?

È difficile anche adesso, nel senso che comunque scrivendo è più semplice, anche se il libro va a tantissime persone, sei tu da solo col computer, quindi è più semplice. In pubblico è più difficile. Dovessi fare retrospettiva direi perché mi vergogno di mostrare le debolezze, ho avuto sicuramente un’esperienza familiare che mi ha portato in questa direzione, mammina che non è così espansiva e papà che anche lui è abbastanza severo, non ho mai visto esprimere tanto le emozioni e ho sempre vissuto il momento di debolezza… debolezza vedi…

l’hai detto due volte:

è la parte su cui sicuramente sto ancora lavorando, perché l’istinto a fare il forte, a fare il duro ce l’ho ancora, mi sono costruito un personaggio, una scorza probabilmente per evitarmi le sofferenze da cui provengo, perché sono stati anni iniziali abbastanza impegnativi per me e quindi mi sono strutturato in questo modo e adesso, forse, grazie anche alla scrittura sto facendo un po’ pace.

Qual è stata la parola magica che ti ha detto il tuo book coach, Francesco Gungui, per farti tirare fuori la tua emotività?

In realtà è stato molto furbo, nel senso che non mi ha dato direzioni precise, nell’editing lui mi metteva: “Qui ci starebbe bene questo… io qua metterei un pezzettino in più, metti una riga di più…” e alla fine si è verificato quello che io predico sui social e cioè che se parli come una persona sensibile, diventi più sensibile, se parli come una persona felice, diventi felice anche senza essere felice e io mi sono accorto scrivendo il libro che parlando come una persona più sensibile ho sviluppato quella parte che mancava.

Che però chiami ancora debolezza:

che ogni tanto chiamo ancora debolezza, perché ammetto che ci sto ancora lavorando, infatti, ho pensato alla trilogia per questo (la trilogia Il Signore delle Menti. I primi due libri sono già stati pubblicati: La Parola Magica e Il Super Senso, il terzo “La Quinta Essenza” uscirà l’1 ottobre 2020 – NdD). Nel terzo lui di sicuro risolve tutta questa roba, lui diventerà sicuramente in pace con la sua spiritualità.

L’asma e la balbuzie

Paolo Borzacchiello da bambino in due foto tratte dal suo album privato
Foto tratte dall’album privato di Paolo Borzacchiello

Spesso hai raccontato di due condanne che hai avuto quando eri piccolo, la prima quando tu eri dal medico con tua mamma e loro parlavano come se tu non ci fossi:

sì, era legata alla mia malattia, un asma bronchiale molto forte e che, nonostante facessi diecimila vaccini e prendessi diecimila medicine, ogni anno peggiorava, finché il medico, non ricordo chi fosse, a mia madre disse, me presente, come se non esistessi: “Suo figlio è condannato a vivere una vita col cortisone”.  Ero molto piccino, però ero rimasto abbastanza scioccato, perché già ai tempi, ero alle scuole elementari, chiedevo a mia madre perché il polline facesse male a me e non agli altri bambini, se facesse male farebbe male a tutti e non sapeva spiegarmi niente, diceva che ero fatto così: questa è la condanna che mi ha sempre portato a studiare come cambiare.

Come hai curato l’asma?

Mi sono andato a studiare tutti quanti i libri.

Che età avevi?

Al liceo, ti lascio immaginare che adolescenza meravigliosa e felice abbia avuto!
Studiando salta fuori che se tu sei sereno stai meglio, che ci sono tecniche respiratorie che ti possono far respirare bene e quindi ho cominciato a praticare queste cose e ho visto che più diventavo tranquillo e sereno e più questa cosa passava, quindi ho continuato su questo percorso; poi ho integrato alcuni approcci che non sono scientifici, ma che mi avevano ispirato, cioè la parte psicosomatica e quella linguistica, il fatto di parlare e usare parole e termini che mi riprogrammassero il cervello e alla fine oggi faccio anche corsi sulla respirazione, che da ex asmatico è figo!

L’altra condanna è quella della balbuzie, ricordo che in aula hai detto che tua mamma, prof. di Lettere, ha detto che non avresti mai potuto fare l’insegnante:

il mio primo desiderio era di fare l’insegnante e questa parte di sicuro lei se l’è dimenticata. Io ci ho parlato con i miei di queste cose e loro praticamente non ricordano nulla, per quello ti dico io sono sicuro che siano successe queste cose e loro proprio le hanno rimosse. Mi ricordo che avevo espresso il desiderio di studiare Lettere per fare l’insegnate e la risposta era stata: “Lascia perdere perché è una professione noiosa, non remunerativa, non hai sbocchi, in più balbetti e tartagli”. Cose dette in buona fede di sicuro, però, il fatto che venissi coccolato e compatito perché balbettavo c’è di sicuro. Non potevo uscire a giocare perché avevo l’asma quindi “Stai in casa perché se no ti ammali”, “Se fai l’insegnate poi magari ti prendono in giro”, quelle cose dette in buona fede che però rimangono impresse nel cervello.

Per quello che ce l’hai tanto con chi fa le cose in buona fede senza saperle però fare? Spesso dici: “Che sia fatto per dolo o per buona fede, informati e studia”

a volte, questa è la parte triste, cerchiamo di consolare gli altri e motivarli, ma le parole sono sbagliate, la sequenza è sbagliata e quindi si fa comunque un danno mondiale, nonostante la buona fede. 
È il motivo per cui poi mi sono tanto distanziato da un certo tipo di mondo.
Quindi che sia fatto per dolo, o per incoscienza, o per incapacità la parola non ha bisogno di tanto per funzionare: la dici, la senti, funziona; che arrivi per un cattivo intento o per ignoranza comunque il danno o il vantaggio lo produce. Da lì il mio super mega stare attento a queste cose, perché quando sento o leggo certe cose vado fuori di testa.

Paolo Borzacchiello e la sorella da bambini
Foto tratta dall’album privato di Paolo Borzacchiello

Il rapporto con i suoi genitori

Il tuo rapporto con tuo padre, di lui parli pochissimo:

adesso ci ho fatto pace, adesso l’ho accettato così com’è, è una bravissima persona, tutte le caratteristiche buone che puoi immaginare: onesto, bravo le ha. Era molto autoritario, probabilmente anche perché, per il bene della famiglia, ha avuto una vita professionale abbastanza frustrante. Era ed è, per certi versi, molto diverso da me: io ad esempio sono un avido lettore, ho sempre letto tantissimo anche quando ero piccolo, mentre lui non ama leggere. Questo, ricordo, creava qualche tensione: io non volevo uscire a giocare perché preferivo stare in casa a leggere, lui voleva che uscissi con gli amici a fare cose più “normali”… e mia madre invece mi spalleggiava, perché era lei che mi forniva i libri: Silone, Pratolini… i classici. Io mi sentivo strano perché volevo leggere, e mi spiaceva perché sentivo che il mio modo di essere e di fare non andava bene per lui. Questo, secondo me, in qualche modo mi ha segnato. Vederlo quasi arrabbiato perché leggevo… credo che mi abbia influenzato. 

Quando ha smesso di arrabbiarsi?

Di arrabbiarsi? Penso 18, 20 anni quando ho cominciato a farmi la mia vita, ad uscire un po’ di più e si è disinteressato alle mie abitudini letterarie. 

E come ti fa sentire questo?

Adesso né caldo né freddo, ci rido sopra, è fatto così: non legge, non è che non legga roba mia, non legge proprio. Io concepisco le cose in maniera diversa, cioè se mia figlia dovesse scrivere qualcosa me lo studierei a memoria, ma proprio perché sono fatto così, lui ho capito che più di tanto no e quindi va bene.

Paolo Borzacchiello e suo padre in un post su Facebook
Foto tratta da Facebook

Tua madre ha letto i tuoi libri?

Sì, sì, anzi si è pure complimentata, figurati l’insegnate di lettere che mi dice che scrivo bene, è stato il top!

Benché siate diversi, da quello che racconti, ti riconosci in qualche caratteristica di tuo padre e di tua madre?

Per quanto riguarda mio padre, ho preso, spero, tutte le parti buone: onesto, bravo a cucinare, mio padre è molto bravo a cucinare, io cucino bene, o nessuno è mai morto, quindi va bene. Mi ha insegnato a essere onesto e a non leccare il culo a nessuno. Ho preso anche aspetti meno piacevoli. Mi viene fatto notare spesso, anche da mia figlia fra l’altro, alcune caratteristiche che non mi piacciono per niente, tipo: ogni tanto fare i capricci invece di risolvere la cosa velocemente, fare ancora un po’ il muso, un po’ di capricciosità ce l’ho, di sicuro. 

Mia madre sicuramente l’amore per la lettura e, così faccio una cosa positiva e una negativa, di sicuro la parte in cui sono poco espansivo negli affetti, sicuramente l’ho pigliata da lei, perché mio padre è molto più espansivo di lei, lei è molto più fredda, chiama poco, tocca poco, non si esprime molto.

Li hai perdonati?

Mah sì, sono dei bravi nonni, han fatto del loro meglio; se vai a vedere le loro storie personali, hanno delle storie personali abbastanza pesanti, collegi, genitori strani e quindi han fatto del loro meglio, il bene sono più che certo ci sia sempre stato in abbondanza, poi a volte, pur volendo bene qualcuno sbaglia, ma ci mancherebbe altro.

Quando li hai perdonati? La prima cosa che hai detto è: “Sono dei bravi nonni”:

dopo un po’ che è nata Aurora, nel diventare genitore, li ho affrontati in maniera diversa, poi alcune cose che mi stanno sulle palle ci sono ancora, però adesso invece di patirli ci si discute e va bene.

Chi è Paolo come figlio?

Boh, bisognerebbe sentire i miei genitori… un po’ evanescente, ma forse questo è un senso del fatto che han fatto un buon lavoro, mi hanno reso abbastanza autonomo per cui va bene.

Paolo come padre

Paolo e Aurora Borzacchiello in due scatti fotografici
Foto tratte da Facebook

E invece come padre?

Un grandissimo rompi coglioni di sicuro! Un padre che ha commesso sicuramente all’inizio tanti errori, che pensava di usare la figlia probabilmente per far vedere quanto fosse bravo come padre e che probabilmente non l’ha accettata in quanto tale, ma ci ha incollato sopra tutte le sue aspettative… di sicuro un gran rompi coglioni e di sicuro un amore infinito. Adesso che ho imparato ad accettare le cose così come vanno mi sento sicuramente molto meglio, ho smesso di pretendere.

L’hai mai detto questo ad Aurora?

Eh sì, sì abbiamo parlato, siamo arrivati a queste considerazioni dopo un bel po’ di lavoro.

Quindi lei ti fa da coach?

No, no ho pagato qualcuno… 
Lei mi fa da mentore se vogliamo parlare del viaggio dell’eroe, nel senso che a volte ti pone di fronte alla sfida, alla soglia da varcare e lei con le sue ribellioni ha rappresentato per me certamente l’occasione per farmi crescere e affrontare un pezzo di viaggio. 

Quando hai capito di avercela fatta? In generale, scegli tu in cosa:

la prima volta è stata quando ho fatto il mio primo corso di public speaking, che è stato per me il trionfo, perché ero entrato in questa scuola come partecipante, avevo chiesto a uno degli allora trainer come avrei potuto diventare un docente e mi era stato detto che non c’era possibilità per me, perché in quell’ambiente nessuno mai poteva prendere il loro posto: avevo avuto un NO secco! E a me se dici che una cosa non la posso fare per principio ti faccio vedere che si può fare e quindi dopo circa un anno da questo no, lui non insegnava più in quella scuola e io avevo il corso come docente. E  proprio il corso di public speaking è stato significativo, perché per un balbuziente che si vergognava a parlare davanti agli altri… non è un caso che il primo corso che abbia tenuto fosse proprio di comunicazione in pubblico, ti lascio immaginare. È stato quello un passaggio importante.

Poi ho sentito di avercela fatta con La Parola Magica, nonostante avessi scritto altri libri, quello ha rappresentato per me un passaggio importantissimo, perché gli altri erano tecnici, sapevo di essere bravo con le parole, cioè io so, passami l’audacia, di essere al momento inavvicinabile con le parole, non ho incontrato mai nessuno che mi possa stare dietro con le cose che so fare io col linguaggio, a livello internazionale, perché leggo, studio, frequento, non c’è niente che mi stia al pari; quindi pubblicare un romanzo ha fatto emergere un pathos che avevo fin da ragazzino che era: “Mi piacerebbe scrivere un romanzo, ma non son capace” e lì è stato un momento di grande svolta. 

Foto tratta dall’album privato di Paolo Borzacchiello

E poi con il mio primo Audible, perché torniamo al mio trauma esistenziale di leggere in pubblico davanti agli altri, parlare è un’altra cosa, ma sai a scuola quando ti fanno leggere un pezzo alla volta, io l’ho sempre vissuta con un’angoscia mondiale e leggere in uno studio di registrazione davanti al fonico, il tecnico, il regista, una lezione e saperla leggere, io lì ho detto: “Ok, ho risolto tutti i cazzi miei nella vita e adesso posso rilassarmi”.

Come hai curato la balbuzie?

Mi sono fatto un’analisi del cervello, cioè sono partito da una riflessione che è stata “cantavo senza balbettare” come tantissimi balbuzienti tra l’altro.
Baglioni?
Cantavo Baglioni, bravissima! Con esiti opinabili, io ero convinto di cantare bene, ma la mia fidanzata del tempo sosteneva che no e però il dato di fatto è stato che mi sono detto: “Ma se io riesco a cantare 20 minuti di fila senza mai una volta perdere il fiato, vuol dire che il mio cervello è capace di farlo e parlare è di fatto la stessa cosa senza la musica”. Quindi, ho cominciato a far finta di cantare parlando: immaginavo che le cose che dicevo fossero delle canzoni, le rallentavo, le parlavo e toglievo la musica. Ogni giorno un pezzetto, poi è una cosa verticale, prendi sicurezza, vedi che succede, lo fai in automatico e nel giro di pochissimo ho iniziato a parlare come parlo adesso; ogni tanto mi incanto perché sono entusiasta, la parola scappa, ma diciamo che riesco a fare il mio mestiere tranquillamente.

Ecco, come si diventa una delle persone più influenti nella crescita personale in Italia?

Foto tratta da Instagram

Con una costanza e una determinazione allucinante. Io sono abbastanza avverso al mito del talento, perché sono evidentemente la persona meno talentuosa che puoi incontrare, cioè balbettavo, non parlavo, non riuscivo ad esprimermi, quindi capirai che il talento non è che ne avessi più di tanto; ma ho l’amore indefesso per questa cosa e una dedizione secondo me straordinaria. Cioè, io studio ancora oggi dopo 20 anni, io studio tutti i giorni, creo modelli, mi invento delle cose, alcune vanno alcune non vanno, leggo tutto, fai conto che nelle mie letture trovi dalla medicina cinese alla linguistica. Tutti i giorni allenamento, tutti i giorni io scrivo che sia un post, un pezzo di libro o le lezioni per me è un allenamento costante.
Sempre: dedizione costante.

Foto tratta da Facebook: Paolo e sua figlia Aurora

C’è qualche cosa che tu giudichi “fallimento” nella tua vita da quando sei Borzacchiello?

La cosa che mi viene in mente d’istinto è sicuramente il modo in cui mi sono comportato con mia figlia. Posto che io non ho la parola fallimento, errori che hanno portato e mi auguro che portino a sviluppi positivi, però certamente il grosso errore che ho commesso è stato quello di pretendere che mia figlia fosse lo specchio mio. Poi, sono cose che io ho fatto in buona fede, ho voluto compensare, probabilmente, la figura paterna autoritaria e molto forte con una figura più amichevole di quello che avrei, forse, dovuto fare. Le sue amiche sono mie fan, leggono i libri, mi seguono su Instagram, l’unica che non ha letto i miei libri è lei. Probabilmente è anche per rifiuto alla mia professione, lei ogni tanto mi dice: “È difficile essere tua figlia”, cioè è difficile avere problemi se sei vicino a me, perché io che tutti i giorni scrivo che puoi risolvere tutto, che col cervello puoi fare tutto, uno che mi sta vicino e che ha un problema e che non riesce a risolverselo… è un po’ complicato.

Quando tua figlia viene da te e ti dice: “Papà ho un problema!”, tu le rispondi: “Puoi risolvertelo da sola”?

Adesso ho preso una strada sicuramente molto diversa, ai tempi andavo subito in cura tecnica: “Ok, niente lamentele, si risolve così, si fa questo e quest’altro”, quindi un po’ meno cuore e tantissimo cervello. Da lì una delle mie frasi di Instagram: “Solo col cervello non vai da nessuna parte, solo col cuore non vai da nessuna parte”, perché se hai delle buone intenzioni, ma non hai delle capacità, fai comunque delle stronzate, cuore e cervello insieme, che è il mio filone attuale, riesci sicuramente ad avere più risultati.
Quindi lì vedo l’errore grosso.

Ti ha perdonato?

Sta, è un percorso. Ci sta lavorando, adesso lascio che faccia la sua strada, senza interferire minimamente, quando sarà pronta succederà. 

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