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Il problema dell’e-wasting: perché cambiare telefono fa male all’ambiente

Pubblicato: 13/03/2020 19:37

L’inquinamento è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Ambientale, senza dubbio, ma ci sono anche altri tipi di sprechi e produzioni di rifiuti che stanno mettendo a rischio la salute del pianeta e soprattutto la nostra. In questo caso parliamo dell’e-wasting, ossia dello smaltimento di rifiuti elettronici. Ogni anno se ne producono milioni di tonnellate e il riciclo non sembra sempre un’opzione alla portata di tutti.

L’e-wasting parte da Nord, ma finisce in Africa

A puntare l’attenzione sul problema ci ha pensato anche Wired, con un articolo in cui vengono rilanciati dati allarmanti. Lo studio è prodotto dal “The Global E-waste Monitor e tali dati risalgono al dossier del 2017. Tuttavia, mettono comunque in luce una situazione drammatica in fatto di rifiuti elettronici.
Il problema, viene rilevato, soprattutto il Nord del mondo: Wired riporta che Europa e Stati Uniti da soli producono la metà dell’e-waste globale, con la Norvegia in testa per rifiuti elettronici pro capite, 28,5 chili l’anno a testa. Dietro di loro, altri paesi del Nord come Islanda e Svezia.
Più benessere, più prodotti elettronici, che però vengono smaltiti in altre parti del mondo.

La più grande discarica è in Ghana

Benché anche i paesi meno sviluppati ora abbiano maggior accesso a prodotti elettronici, grazie soprattutto alla riduzione dei costi di produzione, il grosso arriva dei rifiuti tecnologici dal Nord del mondo. Oggi sono circa 50 milioni di tonnellate l’anno, riporta Wired, che potrebbero diventare 120 milioni entro il 2050. Gran parte di questi rifiuti elettronici finirebbero nel quartiere Agbogbloshie di Accra, capitale del Ghana. Qui si trova si trova la più grande discarica a cielo aperto di rifiuti tecnologici.
Qui, viene riportato, le persone si mantengono anche tramite il riciclaggio di elementi come rame e oro, ma i benefici non sembrano superare i problemi di salute che ne derivano. Plastiche bruciate, esposizione a sostanze tossiche come mercurio, cadmio, piombo: tutti elementi che mettono in serio pericolo la salute degli abitanti e dei lavoratori (il 30% sarebbero donne e bambini) di queste particolari discariche.

Il riciclaggio non è sempre l’opzione migliore

Nell’analisi ripresa da Wired sul dossier dell’e-waste globale, viene anche ripreso il parere del professore di Economia Karel Van Acker. Esperto in elaborazione e riciclaggio dei metalli sostenibili. Lo stesso, sottolinea le assurde cifre in termini di impatto ambientale nella produzione tecnologica: per 100 grammi di rame in un computer, vengono immessi 200 kg di CO2 nell’area. Per ogni smartphone, riporta Wired, ne vengono immessi 35 kg: sarebbero oltre 10 miliardi quelli prodotti dal 2010-2020.
La difficoltà sta anche nel poter riciclare correttamente questi prodotti, una volta terminato il loro utilizzo. Secondo Van Acker, “Sarebbe importante considerare come anticipare il problema” e “Forse l’estensione della vita dei prodotti e un minore utilizzo dovrebbero essere considerati le priorità” invece del riciclaggio.

Chi sta facendo qualcosa di concreto

Riciclare non è sempre facile e molti Paesi non hanno la possibilità di farlo correttamente. Con qualche eccezione in via di sviluppo. Wired riporta infatti che ci sono alcune parti del Medio Oriente dove viene riciclato il 5% dei rifiuti elettronici. Anche Apple ci starebbe mettendo del suo: il sistema di riciclaggio Daisy nel 2018 avrebbe riciclato oltre 7,8 milioni di smartphone e pc dell’azienda di Steve Jobs, risparmiando 48 mila tonnellate di rifiuti. Una goccia nel mare, ma pur sempre un inizio.

L’e-waste in Italia negli ultimi anni

Oltre al resto del mondo, è interessante guardare alla situazione in casa nostra, in Italia. Secondo lo studio, nel 2017 in Italia il 22% dei rifiuti era di tipo elettronico. Si parla di 1156 kt l’anno (pari a 1.158.000.000 chili), pari a 18.9 kg pro capite. Numeri molto alti e in crescita ogni anno, benché la percentuale di e-waste sia calata dal 27% al 22% dal 2014 al 2016. Questo è però frutto della crescita di altri tipi di rifiuti, dal momento che la quantità di prodotti elettronici come smartphone, computer, lavatrici e via dicendo è invece cresciuto.

Invertire la tendenza quindi sembra assolutamente necessario: meno utilizzo significherebbe meno ricambio tecnologico e quindi meno rifiuti elettronici. Un passo che va fatto assieme alle aziende produttrici, spesso accusate di obsolescenza programmata nei propri dispositivi.