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Tra grandi rotte e hub, la ripresa finisce per non andare in porto.

Pubblicato: 31/05/2020 18:20

La ripresa italiana rischia di non andare in porto, e non nel senso figurato. La presa d’atto è urgente, attuale, mentre si pensa a come scavalcare l’epidemia Covid-19. Sarebbe quindi d’obbligo porla all’ordine del giorno, mentre si redigono i desiderata per riavviare l’operatività dei grandi comparti. Tra questi, da considerare cruciali gli attracchi italiani: i siti portuali, gli hub, le rotte commerciali, cioè le attività che assicurano import ed export. I loro dati recenti allarmano, pur se adducibili in buona parte al quadro emergenziale. Eccone alcuni flash.

Dall’ultima rilevazione del 2019, il porto di Venezia segna il -10,5% nei volumi di traffico del primo trimestre 2020; non va meglio per quello di Piombino, che si attesta ad un -11%; la musica non cambia sommando i numeri dei porti di Genova e Savona-Vado, che piombano a -16,2%.

Pochi esempi, certo, ma che valgono a ricordare quanto i porti sottendano architetture complesse, indicatori di sostenibilità, reti infrastrutturali, robuste dinamiche di outsourcing, assetti commerciali e geopolitici: poche lacune incidenti su questi fattori, tra loro diversi ma connessi, e lo scalo s’indebolisce o, peggio, diviene ininfluente.

La Spezia allarga le sue aree di parcheggio containers

La potenza di un ipermercato sta nella grandezza del suo parcheggio. Memore del monito, l’Autorità portuale di La Spezia ha disposto così il suo antidoto anticrisi epidemica, agendo sul piano infrastrutturale.
Ogni settimana, grazie agli accordi tra 2M, The Alliance e Ocean Alliance, questo sito riceve 3 navi provenienti dall’Estremo Oriente. Adesso, l’obiettivo spezzino è predisporre “un’offerta di sistema”, che favorisca stoccaggio di merci in arrivo da tutto il mondo per le industrie del Nord. Si parla di una potenziale capacità di oltre 500mila Teu.

pila di container
Pila di container (fonte: pixabay)

In questa fase, l’iniziativa è di grande aiuto. Infatti, i porti dovranno gestire un’elevata quantità di merce in stoccaggio, almeno fino a quando non saranno riaperte le filiere industriali definite “non essenziali” dagli atti del governo. Ai ricevitori, si evitano così onerosi costi di stoccaggio in porto, sventando anche rischi di congestione nelle attività terminalistiche e di trasporto.

Per ampliare gli stoccaggi, quindi, l’area determinata dallo scalo spezzino tocca i centri intermodali di Melzo, Dinazzano e Padova. Per i ricevitori, inoltre, saranno disponibili soluzioni a corto raggio presso l’Interporto di Santo Stefano Magra/La Spezia, con annessi servizi.
Per realizzare la sistematizzazione, si sono uniti diversi operatori, tra cui la società Sistema Porto, il Gruppo Tarros, il Gruppo Contship Italia.
Tutti rivolti con lo sguardo ad Est?

La “lunga marcia” di Trieste nel cuore d’Europa

In chiave di intermodalità risponde il porto di Trieste, che individua nel collegamento ferroviario l’asset vincente. Per tale ragione, in questa fase, ha pianificato un complesso di servizi verso l’Austria, sintetizzandolo nel claim “one stop shop”.

L’implementazione delle soluzioni ferroviarie si fonda sulla collaborazione con Alpe Adria, TO Delta e Rail Cargo Operator, partner che collegano i moli triestini ai principali hub austriaci. Tra le opzioni avviate, un intero convoglio che da Trieste triangola Vienna e Linz, con 2 circolazioni a settimana; un servizio settimanale Trieste–Vienna, diretto e a misura Msc per il mercato austriaco; fino a 2 circolazioni in sette giorni per la tratta Trieste–Salisburgo; un sistema ad hoc che collega con un solo carro Wolfurt, Salisburgo, Linz, Vienna.

treno merci
treno merci (fonte: pixabay)

Oltre alla connessione già operativa con la Repubblica Ceca, tramite DFDS, gruppo logistico armatoriale danese, una collaborazione tra Adriafer e Alpe Adria punta ora ad un ulteriore sviluppo di volumi industriali, semirimorchi e casse mobili; questo, grazie all’attivazione di una tradotta ferroviaria interna al porto, dedicata alle navi Ro-Ro di gestione DFDS.

Chiave di volta, dunque, la vocazione “orientalista” dello scalo. “Proprio in questi giorni – afferma il presidente dell’Autorità del Sistema Portuale, Zeno D’Agostino – stiamo lavorando con importanti player industriali, per identificare soluzioni che posizionino Trieste come hub di ingresso di nuovi volumi marittimi provenienti dal Far-East”.

Il “peso” dei volumi marittimi dal Far East

Basta un volo radente sul settore, insomma, per trarne l’ambizione (dipendenza?) da un preciso quadrante del mercato. Del resto, da circa un ventennio, il suddetto Far East si è strutturato per affermarsi come la maggiore leva di tante economie, non ultima quella italiana.

Indiscusso propulsore la Cina, con un non indifferente apporto, in debite proporzioni, della Corea del Sud. Prova ne è il progetto “China Standards 2035” che, dopo una gestazione biennale, dovrebbe vedere la luce nel corso di quest’anno. Consanguineo del precedente programma “Made In China 2025”, ne incarna l’evoluzione, spostando la spinta produttiva da articoli a basso contenuto tecnologico a realizzazioni più marcatamente hi-tech.

nave cargo carica di container
nave cargo carica di container (fonte: pixabay)

Nello specifico, ciò comporterà un rinvigorimento di leadership agendo sullo standard-setting per reti di Tlc, per AI, cloud, IoT, blockchain e biotech. Nel prossimo decennio, egemonia economico-produttiva ed influenza geo-politica dipenderanno da questo piano.
Per coglierlo o contrastarlo, parteciparvi o fronteggiarlo, la sostanzialità del trasferimento di materie prime e semilavorati, più in generale di merci, è la sfida. Necessario comprenderla? Sul piano strategico nazionale, evidentemente sì.

Per le piccole e medie imprese italiane, forse, di più. Non a caso, un report di Contiship Italia Group e Srm afferma che tra le aziende lombarde, venete ed emiliano-romagnole, quasi il 70% non conosce né tragitto logistico né porto di arrivo della merce che esporta; per l’import, ben il 45%. Una prova della criticità di connessione comunicativa ed operativa tra aziende manifatturiere ed imprese logistiche.

La dipendenza della produzione italiana

Nel quadrante Sud europeo, per l’Italia la partita è dunque ardua. A conferma di ciò, il report 2020 di Contship Italia Group e Srm offre un quadro efficace, seppur circoscritto.
Il documento, redatto col titolo “Corridoi ed efficienza logistica dei territori – Il ruolo della sostenibilità e della tradizione distrettuale nel valorizzare la manifattura italiana”, analizza il fabbisogno delle tre regioni più produttive della penisola: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.

etichetta made in italy
etichetta made in italy (fonte: shutterstock)

Dal quadro interregionale quel che si evince è che l’Italia esporta molto in Europa. Tuttavia, va prestata attenzione ad altri due aspetti: da una parte, i punti esteri di approdo per la merce in export; dall’altra, i punti di partenza per la merce in import. In sostanza, dove va la merce esportata e da dove viene quella importata.

Ebbene, lo studio indica l’Asia tra i principali canali di sbocco per il 37% delle imprese e l’Europa per il 50%. Sulle importazioni, però, per ben il 50% delle imprese l’Asia è tra i principali mercati di approvvigionamento, mentre l’Europa lo è solo per il 39%.

La portualità declinata da Lombardia, Veneto, Emilia Romagna

La preminenza dell’importazione asiatica è dunque alla luce del sole.
Scomponendo i dati in ordine decrescente, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia segnano dall’Estremo Oriente le seguenti percentuali di import: rispettivamente 56, 48, 47%. Ad Hong Kong, invece, va il palmares di piattaforma da cui partono le merci: per l’Emilia Romagna 26%, per la Lombardia 25, per il Veneto 18.

porto di venezia
porto di venezia (fonte: pixabay)

Calandosi sul territorio, il 2020 si è aperto con il porto di Genova come prima piastra utilizzata dalle imprese, seguito dai moli di La Spezia, rilanciati dalla Lombardia. Per le esportazioni, infatti, l’80% delle imprese ha prediletto il capoluogo ligure che, per le importazioni, si è comunque attestato al 73%.

La Spezia e Venezia sono state le preferite, rispettivamente per il 25 e 20%, sia in export che in import. Genova, da parte sua, per l’export e l’import veneto si è allineata rispettivamente al 70 e al 48%, mentre ha superato il 75% sia in export che in import nel caso delle aziende emiliane.
Una maggiore percentuale di imprese venete ha puntato sullo scalo di Venezia – tra i principali porti di riferimento (49% export, 55% import) – e, a seguire, sul porto di Trieste (15% export, 28% import).

La chiave Adriatica: ma solo per l’Europa?

Se, come sembra, le tre regioni più produttive italiane accendono la luce ad Est grazie ai porti di Genova, La Spezia e della Serenissima, le piccole e medie imprese del centro Italia restano in penombra. Eppure, è sul versante Adriatico che si sta giocando una partita di vaste proporzioni per la logistica mediterranea.

L’esito di questa competizione è strategica e di portata squisitamente europea, causa la conseguente ridefinizione delle filiere industriali, immaginate sempre più di prossimità. Prova ne è l’accordo, firmato nel marzo 2019, tra il porto di Trieste ed il gruppo cinese China Communication Construction Company, primo grande gruppo di infrastrutture di trasporto di proprietà statale che entra nel mercato dei capitali esteri, già gestore dello scalo del Pireo e con diverse partecipazioni nei porti di Rotterdam e Valencia.

tramonto nel mare adriatico
tramonto nel mare adriatico (fonte: pixabay)

“La crisi causata dal Covid-19 – afferma l’economista Stefano Cianciotta – sta confermando alcune tendenze già in atto, come la centralità della logistica e la propensione delle grandi aziende allo smart working”.

Ebbene, se questi sono i trend, il centro Italia sconta ritardi strutturali, dalla mancata messa a sistema dell’intermodalità gomma-ferro-mare all’esclusione dai Corridoi europei, fino ai mancati investimenti sul sistema della portualità

Sull’intero comparto, nemmeno una riga

C’è da presumere che il superamento della crisi da Covid-19 determinerà un’accelerazione dei processi in corso e, date le carenze del sistema Italia, l’opportunità di porvi rimedio diverrà necessità. C’è ancora tempo, forse. In quella che è stata definita la “storica” proposta dell’esecutivo, intitolata “L’Italia e la risposta al Covid-19”, porti, logistica e settore marittimo, tuttavia, non esistono; e così non si riparte.

una matita su foglio bianco
una matita su foglio bianco (fonte: pixabay)

In questo modo finisce per essere condannato un brand, il cosiddetto Made in Italy, per cui il più diffuso tessuto produttivo, quello della piccola e media impresa, necessita di sbocchi vitali di mercato.
Ma se non se ne occupa il Dipe, struttura della presidenza del Consiglio, per quali vie possono contribuire ad un rilancio unitario attori come le Autorità portuali? Certo, la macchina è complessa; ma se è vero che nel sistema globale ormai tra produttore e consumatore c’è sempre un porto, in questo comparto, tra epidemia epocale e ripresa, il sistema Italia finisce per annegare: in un oceano-mare.